Insuccessi terapeutici sui serial killer e divagazioni sul tema
Proprio l'imperiosità del comando "non uccidere" ci assicura che discendiamo da una serie lunghissima di generazioni di assassini, i quali avevano nel sangue, come forse ancora abbiamo noi stessi, il piacere di uccidere. Sigmund Freud
Definizione di serial killer
Moltissimi autori, negli ultimi
anni, hanno approfondito la definizione e la descrizione di serial killer.
In questa sede, riportiamo la
definizione di Ruben De Luca, in quanto, a nostro parere, ci guida alla
comprensione di un fenomeno tanto complesso: ”L’assassino seriale è un soggetto che mette in atto personalmente due
o più azioni omicidiarie separate tra loro oppure esercita un qualche tipo di
influenza psicologica affinché altre persone commettano azioni omicidiarie al
suo posto. Per parlare di assassino seriale, è necessario che il soggetto
mostri una chiara volontà di uccidere, anche se poi gli omicidi non si compiono
e le vittime sopravvivono: l’elemento centrale è la ripetitività dell’azione
omicidiaria. L’intervallo che separa le azioni omicidiarie può andare da
qualche ora a interi anni e le vittime coinvolte in ogni singolo episodio
possono essere più di una. L’assassino seriale agisce preferibilmente da solo,
ma può agire anche in coppia o come membro di un gruppo. Le motivazioni sono
varie, ma c’è sempre una componente psicologica interna al soggetto che lo
spinge al comportamento omicidiario ripetitivo. In alcuni casi, vanno
considerati assassini seriali anche i soggetti che uccidono nell’ambito della
criminalità organizzata, i terroristi, i soldati”.
Gli omicidi seriali nel mondo e il “numero oscuro”
Fino a pochi anni fa, non
esistevano né studi né statistiche affidabili. Solo recentemente, è stata
avviata una ricerca che colloca l’Italia al terzo posto, per numero di serial
killer, dopo USA e UK. Necessita, però, tenere presente il problema del
cosiddetto “numero oscuro”.
Il “numero oscuro” è costituito
da quei casi che non vengono registrati dalle agenzie di controllo e, quindi,
non rientrano nelle statistiche ufficiali.
Molti serial killers tendono,
infatti, a confessare di aver commesso più omicidi di quanti ne abbiano
commesso in realtà. Tale falsa dichiarazione è motivata da narcisismo, dal
voler dare più importanza alla propria figura. Altri, invece, rivelano i nomi
delle vittime ad intervalli periodici, in modo da rallentare le indagini e,
soprattutto, tenere alto l’interesse dei massmedia.
Altro problema riguarda il
“copycat serial murder”, omicidio seriale per imitazione. Ci si trova davanti a
questo fenomeno, quando un soggetto instabile, seguendo attraverso i massmedia
un caso di omicidio seriale, si identifica nell’assassino tanto da imitarne le
azioni criminose. Ciò porta a ritenere un’unica serie omicidiaria, quella che
in realtà è compiuta da due assassini che agiscono separatamente.
Il “numero oscuro” trova alimento
anche nella cessazione improvvisa della serie omicidiaria.
A tal proposito, è possibile
formulare diverse ipotesi:
·
Morte del serial killer, spesso per suicidio
·
Arresto e pena detentiva del serial killer per
altro reato
·
Scelta, da parte del serial killer, di un luogo
diverso dove cacciare le sue prede
·
Interruzione della compulsione ad uccidere per
un cambiamento di vita, che porta il serial killer a trovare gratificazione nel
ricordo degli omicidi compiuti
Convergono nel numero oscuro, gli
omicidi seriali commessi negli ospedali, nelle case di cura e nei ricoveri per
anziani.
In questo caso, non è facile
provare con certezza la colpevolezza di un individuo, dal momento che non
sempre esistono prove concrete, testimoni oculari e sufficienti indizi.
Esiste una banca dati europea:
European Serial Killer Data Bank, finalizzata all’ individuazione delle
caratteristiche di ogni nazione e alla comparazione con il campione americano.
Da questi dati emerge che
l’omicidio seriale è più frequente nei paesi dell’Europa settentrionale e le
nazioni che occupano i primi posti sono le più industrializzate. Nelle zone più
industrializzate, infatti, il grado di alienazione è più elevato e le relazioni
affettive e sociali sono frammentate. Conseguenza di siffatta condizione sono
la solitudine e la sfrenata competitività, cifra comune dei paesi sviluppati.
Meccanismi psicologici degli omicidi seriali
Gli studiosi concordano
nell’affermare che esperienze traumatiche durante l’infanzia e l’adolescenza,
siano determinanti nella scelta di un comportamento deviante. C’è da dire,
però, che non tutti gli individui che hanno esperito situazioni difficili, di
abuso, di emarginazione, di abbandono, diventino serial killer.
Per comprendere meglio le radici
del fenomeno, ci viene in aiuto una prospettiva teorica basata sul modello
sistemico-relazionale.
Secondo tale teoria, i serial
killer sarebbero la risultante di una coazione tra famiglia di provenienza, sistema genitoriale,
dinamiche relazionali e personalità e caratteristiche fisiologiche individuali.
Il comportamento omicidiario sarebbe,
pertanto, il prodotto di un intreccio tra il fattore individuale,
socio-ambientale e relazionale.
Da diversi studi emergono delle
costanti presenti in molti serial killer:
·
Figlio illegittimo
·
Figlio di un genitore abusivo
·
Orfano di entrambi i genitori
·
Vittima di violenze fisiche, psicologiche e/o
sessuali perpetrate da uno o da entrambi i genitori
Nell’infanzia è fondamentale la
costituzione di un buon “legame di attaccamento” fra il bambino e il genitore e
con il procedere della formazione del legame, il bambino si identifica e cerca
il contatto con il genitore o con chi ne fa le veci.
La mancata costruzione del
“legame di attaccamento”, potrebbe provocare nel futuro adulto incapacità di
empatia, di provare sentimenti di affetto o rimorso nei confronti di un altro
essere umano.
La maggior parte dei serial
killers proviene da una” famiglia multiproblematica” che, secondo la
definizione di Mazer, è “ogni gruppo
familiare composto da due o più persone, in cui più della metà dei membri ha
sperimentato problemi di pertinenza con un servizio sociale e/o sociosanitario
o legale”.
Tutti i serial killer avvertono
come negativa la loro esistenza e vivono un forte senso di inferiorità fisica,
psichica, sociale, sessuale. La solitudine, l’emarginazione e l’insicurezza li
portano a colmare questo vuoto interiore, con una sfrenata necessità di
protagonismo e con un comportamento narcisistico.
Si sdoppiano fra una vita una vita pubblica
convenzionale ed una segreta, perversa e turbata da fantasie sadiche. Quando,
poi, passano dall’ immaginazione all’ atto, cioè dopo aver provato il gusto del
dare la morte, non riescono più a smettere.
Segni premonitori del comportamento del serial killer
M. Newton compone un elenco di
sintomi che, durante l’infanzia o l’adolescenza, possono indicare un futuro
comportamento omicidiario:
·
Isolamento sociale
·
Difficoltà di apprendimento ed insuccesso
scolastico
·
Sintomi di danni neurologici (forti mal di
testa, crisi epilettiche, scarsa coordinazione muscolare, incontinenza)
·
Bisogno immotivato e cronico di mentire
·
Ipocondria
·
Mancanza di autocontrollo
·
Attività sessuale precoce e violenta
·
Ossessione per il fuoco, il sangue e la morte
·
Crudeltà verso gli animali e/o le persone
·
Comportamento autodistruttivo (automutilazione,
disturbi alimentari, abuso di alcol e altre sostanze)
·
Cleptomania
·
Precoce uso di stupefacenti
Vittimologia dell’omicidio seriale
Omicidio
seriale di donne
Il serial
killer solitamente sceglie ragazze molto giovani o donne anziane, per avere un
vantaggio fisico che gli permetta di sopraffare la vittima. Attraverso la
cattura e l’uccisione, l’assassino, che si ritiene sessualmente inadeguato, si
riappropria della sua virilità e della stima di se stesso. La soddisfazione
raggiunta non è, però, duratura, tanto che l’assassino deve reiterare l’azione
omicidiaria.
Fra le donne,
ha una maggiore “predisposizione vittimogena” la prostituta.
La rendono
vittima ideale i seguenti elementi: è abituata ad essere avvicinata da uomini
sconosciuti; è disposta a seguire il cliente in un posto isolato; quando una
prostituta sparisce o ne viene ritrovato il cadavere, spesso si pensa che sia
stata uccisa dal protettore o da qualcuno legato al giro della prostituzione;
rappresenta simbolicamente il peccato e ciò può far scattare violenti
meccanismi psicologici.
La studentessa
è un tipologia di vittima specifica degli Stati Uniti.
La sua
vulnerabilità è data dal fatto che gli studenti, nei campus universitari,
vivono da soli o con altri compagni e senza la sorveglianza dei genitori.
Infanticidio
seriale
I bambini
rappresentano vittime ideali perché facilmente manipolabili da un adulto.
Il serial
killer, a volte, si presenta vestito da poliziotto o da prete, figure che per
il bambino sono rassicuranti. L’omicidio è spesso preceduto da molestie o
violenza sessuale.
Omicidio
seriale di massa
L’assassino,
uccidendo più persone nella stessa azione omicidiaria, alimenta la sua smania di
onnipotenza.
Omicidio
seriale di coppia
Scopo
dell’assassino è cancellare una relazione che non riesce a sopportare, cioè
quella fra un uomo e una donna.
Si tratta, in
questo caso, di individui che, a causa di gravissimi problemi relazionali, non
riescono ad instaurare un rapporto con una donna. La maggiore aggressività si
manifesta nei confronti della figura femminile.
Omicidio a
vittimologia mista
Alcuni
assassini seriali hanno solo bisogno di uccidere, al di là del sesso, dell’età
delle vittime e del simbolismo psicologico che può rappresentare.
Vittimologia allargata:
il genitore del seria killer e i parenti delle vittime
Un genitore che
scopre il proprio figlio essere un serial killer, attraversa diverse e ben definite
fasi emotive:
·
Incredulità e negazione dell’evento
·
“Meccanismo dello spostamento”: accettazione
dell’evento e spostamento della responsabilità su terzi (qualcuno avrebbe
esercitato una negativa influenza su di lui)
·
Accettazione dell’evento e spostamento della
responsabilità su se stesso
·
Percezione del fallimento del proprio ruolo di
genitore
I parenti delle
vittime manifestano frequentemente i sintomi del PTSD (Disturbo post-traumatico
da stress): ansia, depressione, sintomi dissociativi, riduzione della
recettività emozionale.
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