martedì 27 gennaio 2015

GIORNATA DELLA MEMORIA 2015

                                                                     

        Le vittime della banalità del male                                                       
                                                       
                                                                                                                              



In giornate come oggi, si avverte più che mai l'urgenza di riaffermare i valori di dignità, uguaglianza e libertà di ogni essere umano,conservando e coltivando la memoria dei momenti tragici della nostra storia.

"Convivere con Auschwitz" si intitola l'incontro che ha avuto luogo il 21 gennaio 2015, pochi giorni prima della "Giornata della Memoria", presso l'Auditorium del Museo Revoltella di Trieste.
L'evento, organizzato dall'Università di Trieste, ha voluto dedicare, con interventi di studiosi, filmati e testimonianze di sopravvissuti, un'intera giornata al ricordo e alla riflessione su una delle pagine più buie della vita dell'umanità.
Non è certo casuale la scelta di Trieste come sede dell'incontro.
Proprio in  questa città, nel 1938, Benito Mussolini, accolto da una folla plaudente, pronunciò il suo discorso sulle leggi razziali.

"Eichmann ist Kein Mefisto! " Eichmann non è un demonio, esclama Barbara Sukowa, la Hannah Arendt dell'intenso film di Margarethe Von Trotta, tratto da "La banalità del male" di Hannah Arendt, filosofa tedesca ebrea,allieva di Martin Heidegger e Karl Jaspers.

" La banalità del male", titolo originale " A report of the Banality of Evil", del 1963, riprende i resoconti che l'autrice aveva pubblicato, come corrispondente per il settimanale New Yorker, del processo di Adolf Eichmann, gerarca nazista catturato nel 1960, processato a Gerusalemme nel 1961 e condannato a morte per impiccagione il 15 dicembre 1961.
Il tribunale lo aveva riconosciuto responsabile di crimini contro gli Ebrei, per aver reso possibile lo sterminio, anche se non messo in atto personalmente.
"I Lager servono, oltre che a sterminare e a degradare gli individui, a compiere l'orrendo esperimento di eliminare, in condizioni scientificamente controllate, la spontaneità stessa come espressione del comportamento umano e di trasformare l'uomo in un oggetto, in qualcosa che neppure gli animali sono".
La Arendt non si riferisce solo alle vittime dello sterminio, ma anche agli esecutori.
Dice ancora la filosofa: "Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme".
Ecco perché Eichmann non è Mefistofele, ma un essere "normale", più temibile di un mostro inumano.

Eichmann sarebbe potuto essere chiunque: sarebbe bastato essere senza idee.

Nel pensiero della Arendt, per un essere umano è male essere "inconsapevolmente volontario", essere il braccio "intenzionalmente inconsapevole" di qualcun altro.
Ciò che la filosofa tedesca scorgeva in Eichmann, infatti, non era la stupidità, ma qualcosa di più negativo: l'incapacità di pensare.
"Comunicare con lui era impossibile, non perché mentiva, ma perché le parole e la presenza di altri, e quindi la realtà in quanto tale, non lo toccavano".

L'olocausto è stato la creatura mostruosa, partorita dall'obbedienza cieca e inconsapevole di migliaia di persone che, pur sapendo, si sono rifiutate di porsi il problema della loro responsabilità.
Piccoli burocrati che, svolgendo il proprio lavoro, non hanno pensato che questo coincideva con un crimine.

Il male del nostro presente deriva anche dalla mentalità del "così fan tutti".

Sulla scena pubblica si agitano molti "cattivi maestri" che indicano vie facili, ma pericolose, alla banalità del male: la perdita diffusa del senso del dovere; il rimando ad altrui responsabilità per minimizzare le proprie; la disaffezione al bene comune.

Stiamo assistendo, dunque, alla diffusione di un gigantesco meccanismo di deresponsabilizzazione dell'individuo.

A questa tendenza che riduce il male a banalità, però, bisogna reagire, ritrovando il senso della serietà della vita, del suo spessore morale e della dignità dell'esistenza personale.

    Piera Denaro






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