Spesso sentiamo o leggiamo notizie raccapriccianti su figli che uccidono i loro genitori.
Sono davvero tragedie inaspettate ?
Sono davvero tragedie inaspettate ?
Sono numerosi gli studi relativi alle violenze
domestiche, ma è alquanto trascurato un fenomeno che, con il passare degli
anni, assume sempre più peso e diffusione: i genitori vittime di lesioni,
aggressioni, tentati omicidi e omicidi consumati.
Solo i casi più eclatanti sono stati oggetto di
analisi.
Quali le cause di queste lacune?
Innanzitutto la reticenza protettiva dei genitori a
denunciare le violenze subite dai figli, poi la carenza di sostegno, quali
assistenza e servizi sociali, da parte di organi preposti.
Interessa veramente conoscere le cause che portano
innocenti ragazzi a diventare feroci assassini?
Interessa
ricorrere a provvedimenti per evitare che i fatti si ripetano?
Ci siamo forse abituati a tal punto da credere che
sia questa la “normalità” familiare?
Non possiamo permettere che la società diventi una
massa informe di individui senza legami!
Guardiamo al fenomeno con più attenzione.
Per comprendere l’origine della condotta violenta
dei ragazzi, bisogna tenere in considerazione le prime esperienze affettive del
bambino. Spesso i comportamenti aggressivi infantili sono generati dalla
mancata soddisfazione di un bisogno del fanciullo, come il desiderio di affetto
e di approvazione da parte dei genitori.
Soprattutto l’assenza di cure materne nella prima
infanzia è un fattore rilevante nella genesi dei comportamenti violenti. Le
esperienze di deprivazione materna determinano un carattere anaffettivo
sociopatico, la cui caratteristica principale è costituita dall’incapacità di
stabilire un legame affettivo.
Un recente orientamento psico-sociologico indica nell’omicidio
parentale, un mezzo per il raggiungimento di soddisfazioni egoistiche. I
modelli proposti da una “moralità” collettiva, tesa alla ricerca di un facile
arricchimento da parte del figlio, può anche passare attraverso l’omicidio dei
genitori.
Il Professore Francesco
Bruno, sulla base dei dati dell’OFRAS (Osservatorio dei Fenomeni di
Rilevante Allarme Sociale), ritiene che l’omicidio dei genitori sia in forte
crescita e traccia l’identikit dei parenticidi: quasi sempre maschi di età
compresa fra 16 e 25 anni, nella maggior parte dei casi, in cerca di prima
occupazione.
Non è difficile comprendere come oggi i giovani,
vedendosi spesso precluse le vie lavorative, riversino in famiglia tutto il
carico di frustrazione e aggressività.
Non pensiamo, comunque, che le cause del fenomeno
siano esclusivamente psicologiche. Esistono, infatti, alterazioni e patologie
correlate all’agire violento e omicida: alterazioni ormonali, metaboliche,
disfunzioni neurologiche, lesioni cerebrali.
Nei giovanissimi omicidi è stato frequentemente
osservato un ritardo mentale che si contraddistingue per suggestionabilità e
difficoltà nell’esprimere desideri, bisogni e nella gestione dei sentimenti.
In questo caso, gli omicidi sono commessi con
grande freddezza e senza motivazione.
Anche una patologia dell’umore, come la
depressione, può manifestarsi in forma di rabbia nei confronti dei genitori,
percepiti come responsabili della sofferenza del figlio.
Dall’osservazione di casi noti di vittimizzazioni
parentali, è possibile risalire a quattro fondamentali tipologie di movente:
·
Interessi economici
·
Vendetta e/o avversione verso la vittima.
Frequenti contrasti
·
Patologia psichiatrica
·
Tossicodipendenza
Chi non ricorda Pietro Maso che il 17 Aprile 1991
massacra i genitori con la complicità di due amici?
Lo psichiatra Vittorino
Andreoli parla di “ipertrofia
narcisistica”. I genitori erano percepiti solo come un salvadenaio da cui
prelevare quanto serviva e da rompere se il bisogno lo avesse richiesto.
Esiste però una verità complementare: odio tremendo
verso la famiglia, disastrosa relazione con le sorelle, avvertite come assenti,
padre percepito come estraneo, madre sempre insoddisfatta di lui.
Il caso Maso fu di così grande impatto mediatico da far quasi dimenticare
il delitto compiuto nel 1975 dalla diciottenne Doretta Graneris che, con il fidanzato, uccide madre, padre, nonni
materni e fratello.
Nel 1989 il 27 enne Ferdinando Carretta uccide a colpi di pistola padre, madre e
fratello. Pulisce ogni traccia e nasconde i cadaveri in una discarica, dove i
corpi non verranno mai più ritrovati. Carretta confessa l’omicidio in diretta
tv nel 1998, dopo che per anni nessuno aveva scoperto la morte dei tre.
Giudicato nel 1999 colpevole del triplice omicidio,
ma incapace di intendere e volere al momento del delitto, viene rinchiuso in un
ospedale psichiatrico giudiziario.
Nel 2001 la sedicenne Erika De Nardo, aiutata dal fidanzato diciassettenne Omar, uccide la madre con più di
cinquanta coltellate e il fratellino di undici anni. Causa scatenante sarebbe
stata la conflittualità tra Erika e la madre. Litigi continui sarebbero stati originati
dallo scarso rendimento scolastico e dall’uso di stupefacenti.
Questi casi sono rimasti impressi nella memoria
come tra i più efferati delitti familiari, ma l’elenco di episodi del genere è
lungo. Alcuni passano sotto silenzio, altri vengono presto dimenticati.
Omar è uscito di prigione nel 2010, beneficiando
dell’indulto e di una serie di sconti di pena per buona condotta.
Erika nel 2011 è tornata in libertà. In carcere si
è laureata ed oggi è inserita nel mondo del lavoro.
Pietro Maso nel 2013 è stato rimesso in libertà. Ha
affidato al libro ”Il male ero io” la descrizione della sua vicenda criminale ed
il percorso di riscatto. Attualmente lavora presso un’emittente cattolica.
Doretta Graneris si è laureata in carcere e
collabora con una comunità che a Torino si occupa di detenuti e
tossicodipendenti.
Ferdinando Caretta nel 2006 lascia l’Ospedale
Psichiatrico Giudiziario ed entra in una comunità di recupero dove segue un
programma di riabilitazione per un suo reinserimento nel mondo del lavoro.
Piera Denaro
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