sabato 14 marzo 2015

ONORA IL PADRE E LA MADRE

                                                     
                                               
      

Spesso sentiamo o leggiamo notizie raccapriccianti su figli che uccidono i loro genitori.
Sono davvero tragedie inaspettate ?                                  
                                                  

Sono numerosi gli studi relativi alle violenze domestiche, ma è alquanto trascurato un fenomeno che, con il passare degli anni, assume sempre più peso e diffusione: i genitori vittime di lesioni, aggressioni, tentati omicidi e omicidi consumati.

Solo i casi più eclatanti sono stati oggetto di analisi.
Quali le cause di queste lacune?

Innanzitutto la reticenza protettiva dei genitori a denunciare le violenze subite dai figli, poi la carenza di sostegno, quali assistenza e servizi sociali, da parte di organi preposti.

Interessa veramente conoscere le cause che portano innocenti ragazzi a diventare feroci assassini?
Interessa  ricorrere a provvedimenti per evitare che i fatti si ripetano?
Ci siamo forse abituati a tal punto da credere che sia questa la “normalità” familiare?

Non possiamo permettere che la società diventi una massa informe di individui senza legami!

Guardiamo al fenomeno con più attenzione.

Per comprendere l’origine della condotta violenta dei ragazzi, bisogna tenere in considerazione le prime esperienze affettive del bambino. Spesso i comportamenti aggressivi infantili sono generati dalla mancata soddisfazione di un bisogno del fanciullo, come il desiderio di affetto e di approvazione da parte dei genitori.

Soprattutto l’assenza di cure materne nella prima infanzia è un fattore rilevante nella genesi dei comportamenti violenti. Le esperienze di deprivazione materna determinano un carattere anaffettivo sociopatico, la cui caratteristica principale è costituita dall’incapacità di stabilire un legame affettivo.

Un recente orientamento psico-sociologico indica nell’omicidio parentale, un mezzo per il raggiungimento di soddisfazioni egoistiche. I modelli proposti da una “moralità” collettiva, tesa alla ricerca di un facile arricchimento da parte del figlio, può anche passare attraverso l’omicidio dei genitori.

Il Professore Francesco Bruno, sulla base dei dati dell’OFRAS (Osservatorio dei Fenomeni di Rilevante Allarme Sociale), ritiene che l’omicidio dei genitori sia in forte crescita e traccia l’identikit dei parenticidi: quasi sempre maschi di età compresa fra 16 e 25 anni, nella maggior parte dei casi, in cerca di prima occupazione.

Non è difficile comprendere come oggi i giovani, vedendosi spesso precluse le vie lavorative, riversino in famiglia tutto il carico di frustrazione e aggressività.

Non pensiamo, comunque, che le cause del fenomeno siano esclusivamente psicologiche. Esistono, infatti, alterazioni e patologie correlate all’agire violento e omicida: alterazioni ormonali, metaboliche, disfunzioni neurologiche, lesioni cerebrali.

Nei giovanissimi omicidi è stato frequentemente osservato un ritardo mentale che si contraddistingue per suggestionabilità e difficoltà nell’esprimere desideri, bisogni e nella gestione dei sentimenti.
In questo caso, gli omicidi sono commessi con grande freddezza e senza motivazione.
Anche una patologia dell’umore, come la depressione, può manifestarsi in forma di rabbia nei confronti dei genitori, percepiti come responsabili della sofferenza del figlio.

Dall’osservazione di casi noti di vittimizzazioni parentali, è possibile risalire a quattro fondamentali tipologie di movente:

·         Interessi economici
·         Vendetta e/o avversione verso la vittima. Frequenti contrasti
·         Patologia psichiatrica
·         Tossicodipendenza


Chi non ricorda Pietro Maso che il 17 Aprile 1991 massacra i genitori con la complicità di due amici?

Lo psichiatra Vittorino Andreoli parla di “ipertrofia narcisistica”. I genitori erano percepiti solo come un salvadenaio da cui prelevare quanto serviva e da rompere se il bisogno lo avesse richiesto.
Esiste però una verità complementare: odio tremendo verso la famiglia, disastrosa relazione con le sorelle, avvertite come assenti, padre percepito come estraneo, madre sempre insoddisfatta di lui.   

                                                     

Il caso Maso fu di così grande impatto mediatico da far quasi dimenticare il delitto compiuto nel 1975 dalla diciottenne Doretta Graneris che, con il fidanzato, uccide madre, padre, nonni materni e fratello.
La causa scatenante sarebbe stata la relazione conflittuale con i genitori.

Nel 1989 il 27 enne Ferdinando Carretta uccide a colpi di pistola padre, madre e fratello. Pulisce ogni traccia e nasconde i cadaveri in una discarica, dove i corpi non verranno mai più ritrovati. Carretta confessa l’omicidio in diretta tv nel 1998, dopo che per anni nessuno aveva scoperto la morte dei tre.
Giudicato nel 1999 colpevole del triplice omicidio, ma incapace di intendere e volere al momento del delitto, viene rinchiuso in un ospedale psichiatrico giudiziario.


Nel 2001 la sedicenne Erika De Nardo, aiutata dal fidanzato diciassettenne Omar, uccide la madre con più di cinquanta coltellate e il fratellino di undici anni. Causa scatenante sarebbe stata la conflittualità tra Erika e la madre. Litigi continui sarebbero stati originati dallo scarso rendimento scolastico  e dall’uso di stupefacenti.                                                                                                            

Questi casi sono rimasti impressi nella memoria come tra i più efferati delitti familiari, ma l’elenco di episodi del genere è lungo. Alcuni passano sotto silenzio, altri vengono presto dimenticati.

Omar è uscito di prigione nel 2010, beneficiando dell’indulto e di una serie di sconti di pena per buona condotta.

Erika nel 2011 è tornata in libertà. In carcere si è laureata ed oggi è inserita nel mondo del lavoro.

Pietro Maso nel 2013 è stato rimesso in libertà. Ha affidato al libro ”Il male ero io” la descrizione della sua vicenda criminale ed il percorso di riscatto. Attualmente lavora presso un’emittente cattolica.

Doretta Graneris si è laureata in carcere e collabora con una comunità che a Torino si occupa di detenuti e tossicodipendenti.

Ferdinando Caretta nel 2006 lascia l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario ed entra in una comunità di recupero dove segue un programma di riabilitazione per un suo reinserimento nel mondo del lavoro.



Piera Denaro


                                              

Nessun commento:

Posta un commento