"Gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, presentano natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'art.192 c.p.p., comma secondo".
Così interviene la Corte di Cassazione Penale con sentenza n. 48349 del 30 Giugno 2004, dichiarando il test del dna una prova sufficiente a condanna.
Piuttosto sbrigativo da un punto di vista scientifico e metodologico.
Un indizio,espresso in termini probabilistici,può sostituirsi ad una prova, ad una certezza, risolvendo oggi tutti i casi?
La tendenza mediatica è quella di far credere al grande pubblico che il test del dna sia equivalente ad una identificazione certa ed assoluta dell'autore di un delitto.
Esistono molte zone d'ombra tali da poter mettere in discussione sia l'attendibilità del test, sia quella del risultato.
Di questo parere è nel suo "Tra il certo e l'impossibile" Francesca Poggi, docente di Teoria Generale del Diritto e Diritto e Bioetica presso l'Università di Milano.
Per accertare se un individuo possa essere l'autore di un reato, si confronta il suo dna con quello rinvenuto sulla scena del crimine o sul corpo della vittima.
La comparazione riguarda solo alcune sezioni , dette "loci": sequenze che variano da individuo a individuo con una probabilità di corrispondenza casuale che si aggira attorno allo 0,0001%.
Confondere quella che è una bassissima probabilità di corrispondenza casuale con una prova di colpevolezza, è definito dalla Poggi "fallacia dell'accusatore"; in altri termini l'imputato potrebbe essere innocente, pur essendo la fonte del materiale genetico. Anche se il dna rinvenuto sulla scena del reato o sul corpo della vittima appartenesse all'imputato, ciò non implicherebbe la sua colpevolezza, potendo esserci altre spiegazioni al rinvenimento.
I periti tendono a negarlo, ma, secondo la Poggi le possibilità di falso positivo possono essere diverse: problemi tecnici come il malfunzionamento degli enzimi o delle apparecchiature impiegate, gli errori umani, le possibili contaminazioni, le erronee interpretazioni del genotipo (corredo genetico dell'individuo, cioè l'insieme dei geni contenuti nel dna e custodito nel nucleo delle cellule).
Per accertare se un individuo possa essere l'autore di un reato, si confronta il suo dna con quello rinvenuto sulla scena del crimine o sul corpo della vittima.
La comparazione riguarda solo alcune sezioni , dette "loci": sequenze che variano da individuo a individuo con una probabilità di corrispondenza casuale che si aggira attorno allo 0,0001%.
Confondere quella che è una bassissima probabilità di corrispondenza casuale con una prova di colpevolezza, è definito dalla Poggi "fallacia dell'accusatore"; in altri termini l'imputato potrebbe essere innocente, pur essendo la fonte del materiale genetico. Anche se il dna rinvenuto sulla scena del reato o sul corpo della vittima appartenesse all'imputato, ciò non implicherebbe la sua colpevolezza, potendo esserci altre spiegazioni al rinvenimento.
I periti tendono a negarlo, ma, secondo la Poggi le possibilità di falso positivo possono essere diverse: problemi tecnici come il malfunzionamento degli enzimi o delle apparecchiature impiegate, gli errori umani, le possibili contaminazioni, le erronee interpretazioni del genotipo (corredo genetico dell'individuo, cioè l'insieme dei geni contenuti nel dna e custodito nel nucleo delle cellule).
Il reperimento e la raccolta del materiale genetico è un'operazione molto delicata.
Da ricordare è la vicenda del "Fantasma di Heilbronn" in Germania.
Dal 1993 avviene una serie di omicidi sulla cui scena viene sempre ritrovato un dna femminile, ma nessuna donna verrà mai ritenuta autrice del reato.
Nel 2009 la svolta: i bastoncini di ovatta utilizzati per il prelievo del materiale organico erano stati contaminati da un'operaia addetta al confezionamento.
Il dna non è la fotografia di una situazione, ma è una traccia che presenta dei picchi(elettroferogramma) che va interpretata. Non sono poi secondarie quantità e qualità del materiale prelevato.
Al dna non è possibile attribuire, anche se questa è la tendenza, un valore assoluto, trascurando le altre tecniche di investigazione o i tradizionali strumenti di indagine che porterebbero ad una prova o ad una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti, utili a condannare il colpevole. La prova del dna dovrebbe essere ritenuta solo una conferma collaterale ad altre prove.
Non ci pare una procedura corretta individuare un indiziato in mezzo ad una moltitudine di persone, ma sarebbe corretto discriminare un soggetto fra vari indiziati per i quali si è già in possesso di altri indizi.
Per l'FBI il dna non è una prova certa al 100%. Dal "New York Times" si apprende che il Federal Bureau of Investigation, controllando una banca dati nazionale del dna, ha identificato circa 170 profili genetici contenenti errori. Fra questi, anche errori di scrittura o errate interpretazioni dei tecnici di laboratorio.
A causa dei risultati, la Polizia di Stato di New York ha cambiato parametri e trovato altri errori nel suo database.
A scoprire gli errori è stato l'Ufficio del Medico Legale di New York City che, incaricato di una supervisione statale, ha dimostrato che l'errore è sempre in agguato, anche quando le prove del dna in Tribunale appaiono infallibili e influenzano giudici e giurati popolari.
Nessun commento:
Posta un commento