martedì 23 settembre 2014

L'ISIS PARLA OCCIDENTALE

Sono migliaia i giovani che partono   da tutta Europa, affascinati dal "canto delle Sirene" dell'ISIS.        
Secondo l’Economist, sulla base di dati provenienti da diversi centri di studio, sono soprattutto uomini con meno di 40 anni, ma si registra anche la presenza di donne(circa 10-15 per cento) dell’Europa centrale e settentrionale.

Perché lasciare Londra, Bruxelles, Parigi o Berlino per raggiungere le insegne nere dell’ISIS?

Tentiamo una risposta .

Ci viene subito da pensare ad una frustrazione personale, ad una mancata integrazione nel tessuto sociale, alla necessità di trovare un proprio ruolo esistenziale.
L’Economist dice che, in alcuni casi, fra le motivazioni dei combattenti non risulterebbero né la povertà né l’emarginazione sociale. Questi giovani, appartenenendo  alla classe media, non conoscerebbero difficoltà  economiche. Neanche il fanatismo religioso rappresenterebbe una forte motivazione. Sempre secondo il giornale londinese, la spiegazione più plausibile riguarderebbe il desiderio di fuggire dalla noia di casa propria.

Viene da chiederci: quella noia che ha generato la diffusione di giochi estremi, come il balconing(salto nel vuoto dal balcone) o l’eyeballing(usare vodka o whisky come collirio) o il choking game (il gioco del soffocamento) o il ghost riding(saltare e ballare su un veicolo in movimento)o la necessità di strafarsi di droghe o “abbuffarsi” di bevande alcoliche e poi mettersi al volante per “sentire l’adrenalina a mille”?

Ma forse non esiste anche un problema valoriale? La democrazia occidentale ha saputo rispondere adeguatamente alle esigenze di spiritualità?

Probabilmente no, se in Europa ci si è volti costantemente a religioni e filosofie orientali o , nelle fasce socialmente ed economicamente più deboli, ad occultismo, satanismo, astrologia…
L’ISIS, radicale e guerriero, offre con i suoi valori, una risposta a quella esigenza di spiritualità che vuole riscattare l’esistenza dal nulla trionfante.

L’Occidente dovrà interrogarsi e ripensarsi.

L’ISIS converte e recluta i foreign fighters, soprattutto, attraverso potenti tecniche psicologiche manipolative di Internet. Utilizza i Social Network per la circolazione rapidissima di contenuti, per esempio video di esecuzioni, che provocano eccitamento, forti emozioni negative, come collera, ansia, indignazione negli individui più vulnerabili per età o marginalizzazione. L’orrore generato fa leva sui sentimenti di ingiustizia, esclusione, umiliazione avvertiti da alcuni per le proprie condizioni di vita. Proprio a questo punto, si avvia un processo di identificazione con la minoranza ribelle che si scaglia contro quella stessa società ,ritenuta causa di malessere.

Che dire, però, del reclutamento di individui privi di turbe psicologiche e socialmente integrati?

Tentiamo una possibile spiegazione.

Esiste un’arma potente: il terrore. I video diffusi in rete, oltre a provocare orrore, seminano terrore, generano insicurezza e senso di impotenza. Un giovane, avvertendo come minaccia le immagini di violenza e le promesse di attentati, avvia quel  meccanismo di difesa che è la regressione: torna emotivamente bambino, bisognoso di una figura forte dalla quale dipendere. Da qui alla conversione e all’identificazione con il carnefice , il passo è breve. Essere simile al nemico significa non essere più un nemico.

Gli Occidentali sono accolti con amore e calore, ma subito dopo questa love bombing inizia l’indottrinamento e la radicalizzazione ideologica che trasforma una recluta in un individuo violento.
Circolano in rete anche video-tutorial che insegnano ai piccoli come “decapitare” una bambola, esercizio propedeutico al taglio della testa dei nemici. Non dobbiamo meravigliarci, quindi, se su Twitter viene immortalato un bimbo di quattro anni che imbraccia un fucile. Non dobbiamo meravigliarci, anche perché la madre del piccolo è Khadijah Dare, originaria di Lewisham, al sud di Londra, che ha dichiarato, sempre su Twitter, di voler essere la prima donna a decapitare un Occidentale.

A proposito di donne.

L’ISIS cerca via Internet donne occidentali che dovrebbero compiere la rivoluzione senza armi, ma attraverso il matrimonio e la cura dei figli. In questo caso, la propaganda celebra le gioie della famiglia jihadista e l’onore di allevare i figli che diventeranno guerrieri. Se da una parte vengono cooptate “amorevoli mogli e mamme”, dall’altra si reclutano donne nella Brigata Al Khansaa (dal nome della poetessa cara a Maometto), agenti velate il cui compito sarebbe individuare le donne che trasgrediscono alle regole della religione islamica. Secondo alcune ricercatrici del King’s College, sarebbero almeno sette le britanniche che militano nella Brigata e tre occuperebbero una  posizione di comando.

Poniamoci alcune domande: L’ISIS è davvero frutto dello scontro fra due differenti culture, quella araba e del mondo islamico e quella occidentale? Pur tenendo in considerazione le dinamiche politiche locali, non ci troviamo forse di fronte ad un prodotto del globale? Le crocifissioni dei ladri a Raqqa, riprese con uno smartphone da un gruppo di ragazzini e documentate da Vice News, e le teste dei nemici infilzate sui cancelli dei giardini della stessa città non sono materiale per Twitter?
Questo è materiale caldo che fa parte di una cultura digitale globale. Dov’è la contrapposizione fra la ferocia araba e la tolleranza occidentale? Non sono stati i soldati americani ad avere esposto per primi su You Tube e vari Social Network  gli Irakeni o pezzi dei loro corpi come trofeo?
Risulta difficile una netta separazione fra Oriente e Occidente, se da entrambi vengono utilizzate le stesse tecnologie occidentali della comunicazione.
Che dire dei Rayban ostentati da alcuni guerriglieri o l’uso delle magliette Nike alla proclamazione dello Stato Islamico?

Pensare ad una battaglia fra Oriente e Occidente, ad uno scontro fra civiltà, a nostro avviso, è un errore, in quanto ci muoviamo all’interno di una cultura globale. Se uno scontro esiste, allora è quello fra due visioni estreme di integralismo, di esasperazione,. uno della religione e l’altro dell’individuo e della competitività.
                                                                                                             
Piera Denaro
                                                                                                                     


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