Sono migliaia i giovani che partono da tutta Europa, affascinati dal "canto delle Sirene" dell'ISIS.
Secondo l’Economist, sulla base di dati provenienti da diversi centri di
studio, sono soprattutto uomini con meno di 40 anni, ma si registra anche la
presenza di donne(circa 10-15 per cento) dell’Europa centrale e settentrionale.
Tentiamo una risposta .
Ci viene subito da pensare ad una
frustrazione personale, ad una mancata integrazione nel tessuto sociale, alla
necessità di trovare un proprio ruolo esistenziale.
L’Economist dice che, in alcuni
casi, fra le motivazioni dei combattenti non risulterebbero né la povertà né
l’emarginazione sociale. Questi giovani, appartenenendo alla classe media, non conoscerebbero
difficoltà economiche. Neanche il
fanatismo religioso rappresenterebbe una forte motivazione. Sempre secondo il
giornale londinese, la spiegazione più plausibile riguarderebbe il desiderio di
fuggire dalla noia di casa propria.

Ma forse non esiste anche un
problema valoriale? La democrazia occidentale ha saputo rispondere
adeguatamente alle esigenze di spiritualità?
Probabilmente no, se in Europa ci
si è volti costantemente a religioni e filosofie orientali o , nelle fasce
socialmente ed economicamente più deboli, ad occultismo, satanismo, astrologia…
L’ISIS, radicale e guerriero, offre con i suoi valori, una risposta a quella esigenza
di spiritualità che vuole riscattare l’esistenza dal nulla trionfante.
L’Occidente dovrà interrogarsi e ripensarsi.
L’ISIS converte e recluta i foreign fighters, soprattutto,
attraverso potenti tecniche psicologiche manipolative di Internet. Utilizza i Social Network
per la circolazione rapidissima di contenuti, per esempio video di esecuzioni,
che provocano eccitamento, forti emozioni negative, come collera, ansia,
indignazione negli individui più vulnerabili per età o marginalizzazione.
L’orrore generato fa leva sui sentimenti di ingiustizia, esclusione,
umiliazione avvertiti da alcuni per le proprie condizioni di vita. Proprio a
questo punto, si avvia un processo di identificazione con la minoranza ribelle
che si scaglia contro quella stessa società ,ritenuta causa di malessere.
Che dire, però, del reclutamento di individui privi di turbe
psicologiche e socialmente integrati?
Tentiamo una possibile spiegazione.
Esiste un’arma potente: il
terrore. I video diffusi in rete, oltre a provocare orrore, seminano terrore,
generano insicurezza e senso di impotenza. Un giovane, avvertendo come minaccia
le immagini di violenza e le promesse di attentati, avvia quel meccanismo di difesa che è la regressione: torna emotivamente bambino,
bisognoso di una figura forte dalla quale dipendere. Da qui alla conversione e
all’identificazione con il carnefice , il passo è breve. Essere simile al
nemico significa non essere più un nemico.
Gli Occidentali sono accolti con
amore e calore, ma subito dopo questa love
bombing inizia l’indottrinamento e la radicalizzazione ideologica che
trasforma una recluta in un individuo violento.
Circolano in rete anche
video-tutorial che insegnano ai piccoli come “decapitare” una bambola,
esercizio propedeutico al taglio della testa dei nemici. Non dobbiamo meravigliarci,
quindi, se su Twitter viene immortalato
un bimbo di quattro anni che imbraccia un fucile. Non dobbiamo meravigliarci,
anche perché la madre del piccolo è Khadijah
Dare, originaria di Lewisham, al sud di Londra, che ha dichiarato, sempre
su Twitter, di voler essere la prima donna a decapitare un Occidentale.
A proposito di donne.
L’ISIS cerca via Internet donne
occidentali che dovrebbero compiere la rivoluzione senza armi, ma attraverso il
matrimonio e la cura dei figli. In questo caso, la propaganda celebra le gioie
della famiglia jihadista e l’onore di allevare i figli che diventeranno
guerrieri. Se da una parte vengono cooptate “amorevoli mogli e mamme”,
dall’altra si reclutano donne nella Brigata
Al Khansaa (dal nome della poetessa cara a Maometto), agenti velate il cui
compito sarebbe individuare le donne che trasgrediscono alle regole della
religione islamica. Secondo alcune ricercatrici del King’s College, sarebbero almeno sette le britanniche che militano
nella Brigata e tre occuperebbero una posizione di comando.
Poniamoci alcune domande: L’ISIS
è davvero frutto dello scontro fra due differenti culture, quella araba e del
mondo islamico e quella occidentale? Pur tenendo in considerazione le dinamiche
politiche locali, non ci troviamo forse di fronte ad un prodotto del globale?
Le crocifissioni dei ladri a Raqqa, riprese con uno smartphone da un gruppo di
ragazzini e documentate da Vice News,
e le teste dei nemici infilzate sui cancelli dei giardini della stessa città
non sono materiale per Twitter?
Questo è materiale caldo che fa
parte di una cultura digitale globale. Dov’è la contrapposizione fra la ferocia
araba e la tolleranza occidentale? Non sono stati i soldati americani ad avere
esposto per primi su You Tube e vari
Social Network gli Irakeni o pezzi dei
loro corpi come trofeo?
Risulta difficile una netta
separazione fra Oriente e Occidente, se da entrambi vengono utilizzate le
stesse tecnologie occidentali della comunicazione.
Che dire dei Rayban ostentati da alcuni guerriglieri o l’uso delle magliette Nike alla proclamazione dello Stato
Islamico?
Pensare ad una battaglia fra
Oriente e Occidente, ad uno scontro fra civiltà, a nostro avviso, è un errore,
in quanto ci muoviamo all’interno di una cultura globale. Se uno scontro
esiste, allora è quello fra due visioni estreme di integralismo, di
esasperazione,. uno della religione e l’altro dell’individuo e della
competitività.
Piera Denaro
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