venerdì 19 giugno 2015

Il malato inguaribile (parte seconda)



Trattamento terapeutico degli assassini seriali e cause di insuccesso


                        I trattamenti terapeutici

Riguardo al trattamento terapeutico del serial killer emergono due linee opposte.

Se da una parte viene considerato possibile un trattamento ed un reinserimento dell’assassino seriale all’interno della società, dall’altra viene ritenuta impossibile una risocializzazione.

La prima posizione è sostenuta in Paesi come il Canada, la Scandinavia, la Germania e l’Inghilterra; la seconda è sostenuta , in particolare, dagli Stati Uniti.

Secondo Anderson e Dubner, infatti, i serial killer “sono destinati ormai a continuare ad uccidere”.


In Italia è ancora sottostimata l’entità del fenomeno, infatti la preoccupazione principale degli operatori riguarda la diagnosi e non un piano terapeutico. I trattamenti finora sperimentati sono stati effettuati su psicopatici e criminali sessuali, ma per i serial killers non è mai stata formulata un’ipotesi di trattamento mirato.

Gli studiosi americani, partendo dal presupposto che i crimini vengono compiuti per anomalie fisiologiche, hanno dato grande spazio ai trattamenti organici: tecniche neurochirurgiche, castrazione chirurgica e chimica, terapia psicofarmacologica.
In effetti, i trattamenti effettuati su criminali sessuali sembrano aver ridotto il tasso di recidiva(Marshall e Pitners).

I suddetti trattamenti, a nostro modesto parere , poco si adattano ad un assassino seriale, in quanto, pur riducendo l’impulso sessuale, non sono in grado di modificare ossessioni e distorsioni.

Dall’analisi della letteratura non si evince alcuna documentazione scientifica sul trattamento psicoanalitico, ma, a parere di alcuni studiosi del calibro di A. Bonifazi, R. De Luca e B. Giambra, un tale approccio terapeutico sarebbe utile se integrato a terapie comportamentali, cognitive e farmacologiche.





      Cause di insuccesso nel trattamento di un omicida seriale


Gli unici esperimenti di trattamento di cui ci giunge notizia, riguardano gli Stati Uniti e tutti sono pervenuti ad esiti negativi.
Nelle carceri, in generale, l’approccio utilizzato con gli assassini seriali è sempre stato quello comportamentale, dal momento che l’obiettivo primario dei sistemi penali è rendere accettabile il comportamento del detenuto al fine di una gestione più serena e meno conflittuale della vita carceraria.
Tale approccio, se risulta efficace con i pazienti “normali”, risulta, invece, del tutto inefficace sui serial killers, in quanto crea un’aderenza alle regole terapeutiche di breve durata e non procura cambiamenti stabili.

Newton elenca numerose cause di insuccesso terapeutico:

·         Le prigioni sovraffollate provocano sul detenuto, che cova al suo interno pulsioni e aggressività, uno stress continuo che può annullare gli effetti benefici di una possibile terapia.
·         Un detenuto può sperare di lasciare il carcere dopo pochi anni, anche se deve scontare una pena lunga. Non sono certamente pochi i casi in cui un assassino seriale, venga rilasciato dopo poco tempo dalla condanna, perché giudicato non “socialmente pericoloso”. Invariabilmente è tornato ad uccidere.

·         Ospedali psichiatrici ed istituti preposti alla cura delle malattie mentali non possiedono sufficienti fondi per impostare un piano terapeutico personalizzato per ogni paziente. L’operatore che sottopone il detenuto ad un trattamento, può erroneamente giudicarlo guarito ed esprimere parere favorevole alla commissione che esamina le istanze di liberazione anticipata.

Bisogna, però, tenere in dovuta considerazione, che i serial killers sono abilissimi manipolatori, capaci di mostrarsi miti e inoffensivi, per periodi di tempo molto lunghi, ad operatori di scarsa esperienza nel campo della psicologia criminale.




             Insuccessi italiani



Non mancano in Italia casi di assassini rimessi in libertà, per sconti di pena o permessi-premio concessi incautamente.

Ne riportiamo qualcuno:


Salvatore Avvantaggiato


Viene condannato all’ergastolo nel 1977 per aver ucciso a martellate una donna, durante un furto in appartamento. Avvantaggiato si mostra in carcere un detenuto modello, a tal punto che, come previsto dalla legge, dopo dieci anni di detenzione, comincia ad usufruire  di permessi-premio.
Durante l’ultimo permesso nel 2000, Avvantaggiato si reca a casa di una prostituta e, durante un raptus, la uccide, sfondandole il cranio a martellate.
Si sospetta che l’assassino, nelle precedenti uscite, avvenute nell’arco di dodici anni, abbia potuto uccidere altre donne con le medesime modalità.

Primo Bisi

Nel 1963 sorprende la moglie in compagnia dell’amante e uccide quest’ultimo, colpendolo ripetutamente alla testa con una spranga di ferro.
Condannato a quattordici anni di carcere, torna libero nel 1975. Per venticinque anni conduce una vita irreprensibile. Nel 2001 scopre la nuova moglie con un amante e spara, uccidendoli entrambi.

Sergio  Natalini

Operaio edile. Tre zii paterni ricoverati in manicomio per schizofrenia ed egli stesso sofferente di ritardo mentale ed epilessia.
Natalini uccide tre donne con le quali ha una relazione. Nel 1974 uccide la prima donna sparandole alla testa e si costituisce. Viene condannato a dodici anni di carcere, ma ottiene la libertà vigilata per “buona condotta” dopo cinque anni.
Nel 1983 si invaghisce di una donna, la quale si rifiuta di vivere con lui. Le taglia la gola e viene condannato a ventuno anni di carcere, poi ridotti a diciotto in appello, per omicidio volontario, più altri tre da trascorrere nell’OPG di Aversa.
Natalini ottiene due licenze premio e, durante la seconda, si innamora di una donna che lo respinge. Al rifiuto di lei, la strangola.
Questa volta viene condannato all’ergastolo, dopo che una perizia psichiatrica lo definisce afflitto da un “disturbo esplosivo ad intermittenza”.






Un caso clamoroso: Angelo Izzo





Angelo Izzo: il “Mostro del Circeo”.

Insieme a due amici, Gianni Guido e Andrea Ghira, invita in una villa del Circeo, due ragazze, Rosalia Lopez, che sarà violentata e uccisa, e Donatella Colasanti, che si salverà fingendosi morta.

Izzo, condannato all’ergastolo, mette in atto, da questo momento, un progetto di manipolazione del nostro sistema giudiziario, al fine di migliorare la sua posizione detentiva.

Durante il processo per la strage di Piazza Fontana, fornisce informazioni che, in un secondo tempo, si riveleranno infondate.
Grazie a questa collaborazione con la giustizia, ottiene permessi premio, l’ammissione al lavoro esterno e la semilibertà.

Nel 2003, durante il regime di semilibertà, Izzo conosce il pastore evangelico Dario Saccomanni, che si occupa del recupero dei detenuti, ed è presidente della cooperativa “Città futura”, dove Izzo lavora.
Apparentemente, il “Mostro del Circeo” mostra zelo, divenendo punto di riferimento per i giovani in difficoltà che si rivolgono alla cooperativa, nella realtà il suo obiettivo consiste nel soddisfacimento di un ossessivo bisogno di onnipotenza e manipolazione.

A Campobasso, nel 2005, dopo trent’anni, Izzo torna ad uccidere: le vittime ancora due donne, madre e figlia.
Il duplice delitto risulta premeditato, non il frutto di un improvviso raptus.

Dichiarazione dell’assassino: ”Sentivo la violenza che veniva fuori. E provavo il desiderio di uccidere di nuovo, per questo l’ho fatto. Se non fossero state le due donne, avrei ucciso qualcun altro”.




Riteniamo che, a questo punto, si ponga il problema delle “misure alternative”.


Sono di indubbia utilità, ma l’applicazione di esse non dovrebbe essere estesa a soggetti psicotici e con tendenze manipolative.

Il problema vero e proprio riguarda il metodo di valutazione utilizzato per individuare i detenuti, ai quali concedere le misure alternative.

Vittorino Andreoli, psichiatra e perito, ha affermato, in più di un’occasione pubblica, che diventa molto difficoltoso valutare la personalità di un soggetto recluso in carcere perché “psichiatri e psicologi, per mettere sulla bilancia ciò che va e ciò che non va, hanno a disposizione tre, quattro incontri di circa un’ora. Desolante. Si può fare un’analisi di chi si vede così, al volo? E poi, durante questi abboccamenti, c’è anche una marea di moduli da compilare. Per di più queste conversazioni in cui è difficile stabilire un benché minimo feeling, avvengono sotto gli occhi di un secondino. Con il detenuto che, ovviamente, è pronto a mostrarsi nella sua veste più appetibile”.

Per quanto concerne, poi, le comunità di recupero, all’interno delle quali lavorano i detenuti, sono spesso controllate da religiosi che vogliono vedere, a tutti i costi, “il bene presente nell’animo umano” continua Andreoli.
A ciò bisogna aggiungere che vi lavorano volontari senza alcuna preparazione utile a riconoscere psicopatia e processi di manipolazione.


Nel sistema anglosassone, una diversa procedura fornisce la possibilità di un esame più approfondito dei detenuti, ai fini della concessione di misure alternative.

Il soggetto da valutare viene trasferito in una speciale residenza dove rimane, per quindici giorni, a disposizione degli psichiatri, affinché possa instaurarsi un reale rapporto con gli operatori da consentire una più oculata valutazione.
Tale procedura non è certo esente da errori, ma almeno riduce il rischio di recidiva, evitando la valutazione di un detenuto solo in base ai suoi atteggiamenti esteriori.












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