Trattamento terapeutico degli assassini seriali e cause di insuccesso
I trattamenti terapeutici
Riguardo al trattamento
terapeutico del serial killer emergono due linee opposte.
Se da una parte viene considerato
possibile un trattamento ed un reinserimento dell’assassino seriale all’interno
della società, dall’altra viene ritenuta impossibile una risocializzazione.
La prima posizione è sostenuta in
Paesi come il Canada, la Scandinavia, la Germania e l’Inghilterra; la seconda è
sostenuta , in particolare, dagli Stati Uniti.
Secondo Anderson e Dubner,
infatti, i serial killer “sono destinati
ormai a continuare ad uccidere”.
In Italia è ancora sottostimata
l’entità del fenomeno, infatti la preoccupazione principale degli operatori
riguarda la diagnosi e non un piano terapeutico. I trattamenti finora
sperimentati sono stati effettuati su psicopatici e criminali sessuali, ma per
i serial killers non è mai stata formulata un’ipotesi di trattamento mirato.
Gli studiosi americani, partendo
dal presupposto che i crimini vengono compiuti per anomalie fisiologiche, hanno
dato grande spazio ai trattamenti organici: tecniche neurochirurgiche,
castrazione chirurgica e chimica, terapia psicofarmacologica.
In effetti, i trattamenti
effettuati su criminali sessuali sembrano aver ridotto il tasso di
recidiva(Marshall e Pitners).
I suddetti trattamenti, a nostro
modesto parere , poco si adattano ad un assassino seriale, in quanto, pur
riducendo l’impulso sessuale, non sono in grado di modificare ossessioni e
distorsioni.
Dall’analisi della letteratura
non si evince alcuna documentazione scientifica sul trattamento psicoanalitico,
ma, a parere di alcuni studiosi del calibro di A. Bonifazi, R. De Luca e B.
Giambra, un tale approccio terapeutico sarebbe utile se integrato a terapie
comportamentali, cognitive e farmacologiche.
Cause di insuccesso nel trattamento di un omicida seriale
Gli unici esperimenti di
trattamento di cui ci giunge notizia, riguardano gli Stati Uniti e tutti sono
pervenuti ad esiti negativi.
Nelle carceri, in generale,
l’approccio utilizzato con gli assassini seriali è sempre stato quello
comportamentale, dal momento che l’obiettivo primario dei sistemi penali è
rendere accettabile il comportamento del detenuto al fine di una gestione più
serena e meno conflittuale della vita carceraria.
Tale approccio, se risulta
efficace con i pazienti “normali”, risulta, invece, del tutto inefficace sui
serial killers, in quanto crea un’aderenza alle regole terapeutiche di breve
durata e non procura cambiamenti stabili.
Newton elenca numerose cause di
insuccesso terapeutico:
·
Le prigioni sovraffollate provocano sul
detenuto, che cova al suo interno pulsioni e aggressività, uno stress continuo
che può annullare gli effetti benefici di una possibile terapia.
·
Un detenuto può sperare di lasciare il carcere
dopo pochi anni, anche se deve scontare una pena lunga. Non sono certamente
pochi i casi in cui un assassino seriale, venga rilasciato dopo poco tempo
dalla condanna, perché giudicato non “socialmente pericoloso”. Invariabilmente
è tornato ad uccidere.
·
Ospedali psichiatrici ed istituti preposti alla
cura delle malattie mentali non possiedono sufficienti fondi per impostare un
piano terapeutico personalizzato per ogni paziente. L’operatore che sottopone
il detenuto ad un trattamento, può erroneamente giudicarlo guarito ed esprimere
parere favorevole alla commissione che esamina le istanze di liberazione
anticipata.
Bisogna, però,
tenere in dovuta considerazione, che i serial killers sono abilissimi
manipolatori, capaci di mostrarsi miti e inoffensivi, per periodi di tempo
molto lunghi, ad operatori di scarsa esperienza nel campo della psicologia
criminale.
Insuccessi italiani
Non mancano in
Italia casi di assassini rimessi in libertà, per sconti di pena o
permessi-premio concessi incautamente.
Ne riportiamo
qualcuno:
Salvatore
Avvantaggiato
Viene condannato
all’ergastolo nel 1977 per aver ucciso a martellate una donna, durante un furto
in appartamento. Avvantaggiato si mostra in carcere un detenuto modello, a tal
punto che, come previsto dalla legge, dopo dieci anni di detenzione, comincia
ad usufruire di permessi-premio.
Durante l’ultimo
permesso nel 2000, Avvantaggiato si reca a casa di una prostituta e, durante un
raptus, la uccide, sfondandole il cranio a martellate.
Si sospetta che
l’assassino, nelle precedenti uscite, avvenute nell’arco di dodici anni, abbia
potuto uccidere altre donne con le medesime modalità.
Primo Bisi
Nel 1963
sorprende la moglie in compagnia dell’amante e uccide quest’ultimo, colpendolo
ripetutamente alla testa con una spranga di ferro.
Condannato a
quattordici anni di carcere, torna libero nel 1975. Per venticinque anni
conduce una vita irreprensibile. Nel 2001 scopre la nuova moglie con un amante
e spara, uccidendoli entrambi.
Sergio Natalini
Operaio edile.
Tre zii paterni ricoverati in manicomio per schizofrenia ed egli stesso sofferente
di ritardo mentale ed epilessia.
Natalini uccide
tre donne con le quali ha una relazione. Nel 1974 uccide la prima donna
sparandole alla testa e si costituisce. Viene condannato a dodici anni di
carcere, ma ottiene la libertà vigilata per “buona condotta” dopo cinque anni.
Nel 1983 si
invaghisce di una donna, la quale si rifiuta di vivere con lui. Le taglia la
gola e viene condannato a ventuno anni di carcere, poi ridotti a diciotto in
appello, per omicidio volontario, più altri tre da trascorrere nell’OPG di
Aversa.
Natalini ottiene
due licenze premio e, durante la seconda, si innamora di una donna che lo
respinge. Al rifiuto di lei, la strangola.
Questa volta
viene condannato all’ergastolo, dopo che una perizia psichiatrica lo definisce
afflitto da un “disturbo esplosivo ad intermittenza”.
Un caso clamoroso: Angelo Izzo
Angelo Izzo: il
“Mostro del Circeo”.
Insieme a due
amici, Gianni Guido e Andrea Ghira, invita in una villa del Circeo, due
ragazze, Rosalia Lopez, che sarà violentata e uccisa, e Donatella Colasanti,
che si salverà fingendosi morta.
Izzo, condannato
all’ergastolo, mette in atto, da questo momento, un progetto di manipolazione
del nostro sistema giudiziario, al fine di migliorare la sua posizione
detentiva.
Durante il
processo per la strage di Piazza Fontana, fornisce informazioni che, in un
secondo tempo, si riveleranno infondate.
Grazie a questa
collaborazione con la giustizia, ottiene permessi premio, l’ammissione al
lavoro esterno e la semilibertà.
Nel 2003,
durante il regime di semilibertà, Izzo conosce il pastore evangelico Dario
Saccomanni, che si occupa del recupero dei detenuti, ed è presidente della
cooperativa “Città futura”, dove Izzo lavora.
Apparentemente,
il “Mostro del Circeo” mostra zelo, divenendo punto di riferimento per i
giovani in difficoltà che si rivolgono alla cooperativa, nella realtà il suo
obiettivo consiste nel soddisfacimento di un ossessivo bisogno di onnipotenza e
manipolazione.
A Campobasso,
nel 2005, dopo trent’anni, Izzo torna ad uccidere: le vittime ancora due donne,
madre e figlia.
Il duplice
delitto risulta premeditato, non il frutto di un improvviso raptus.
Dichiarazione
dell’assassino: ”Sentivo la violenza che
veniva fuori. E provavo il desiderio di uccidere di nuovo, per questo l’ho
fatto. Se non fossero state le due donne, avrei ucciso qualcun altro”.
Riteniamo che, a
questo punto, si ponga il problema delle “misure alternative”.
Sono di indubbia
utilità, ma l’applicazione di esse non dovrebbe essere estesa a soggetti
psicotici e con tendenze manipolative.
Il problema vero
e proprio riguarda il metodo di valutazione utilizzato per individuare i
detenuti, ai quali concedere le misure alternative.
Vittorino
Andreoli, psichiatra e perito, ha affermato, in più di un’occasione pubblica,
che diventa molto difficoltoso valutare la personalità di un soggetto recluso
in carcere perché “psichiatri e
psicologi, per mettere sulla bilancia ciò che va e ciò che non va, hanno a
disposizione tre, quattro incontri di circa un’ora. Desolante. Si può fare
un’analisi di chi si vede così, al volo? E poi, durante questi abboccamenti,
c’è anche una marea di moduli da compilare. Per di più queste conversazioni in
cui è difficile stabilire un benché minimo feeling, avvengono sotto gli occhi
di un secondino. Con il detenuto che, ovviamente, è pronto a mostrarsi nella
sua veste più appetibile”.
Per quanto
concerne, poi, le comunità di recupero, all’interno delle quali lavorano i
detenuti, sono spesso controllate da religiosi che vogliono vedere, a tutti i
costi, “il bene presente nell’animo
umano” continua Andreoli.
A ciò bisogna
aggiungere che vi lavorano volontari senza alcuna preparazione utile a
riconoscere psicopatia e processi di manipolazione.
Nel sistema
anglosassone, una diversa procedura fornisce la possibilità di un esame più
approfondito dei detenuti, ai fini della concessione di misure alternative.
Il soggetto da
valutare viene trasferito in una speciale residenza dove rimane, per quindici
giorni, a disposizione degli psichiatri, affinché possa instaurarsi un reale
rapporto con gli operatori da consentire una più oculata valutazione.
Tale procedura
non è certo esente da errori, ma almeno riduce il rischio di recidiva, evitando
la valutazione di un detenuto solo in base ai suoi atteggiamenti esteriori.
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