mercoledì 31 dicembre 2014

IN DIFESA DI LUCREZIA E DI CESARE


John Collier- Un bicchiere di vino con Cesare Borgia

E' possibile una difesa di Lucrezia e Cesare, i due fratelli Borgia, diffamati dalla storia, dalla leggenda, dalle cronache e dai libelli dei numerosi nemici?

La famiglia spagnola è stata oggetto, nel corso dei secoli, di giudizi mutevoli e contrastanti.

Lucrezia è stata spesso raffigurata sanguinaria, corrotta e incestuosa.


Il poeta Jacopo Sannazzaro la definisce "figlia, moglie e nuora" di Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI.

Francesco Guicciardini, scrittore, storico e politico scrive nella "Storia d'Italia": "Lucrezia Borgia non si considera se non come la figlia incestuosa di Alessandro VI, l'amante a un tempo di suo padre e dei suoi fratelli".


Neanche l'Ottocento salva Lucrezia dal cliché di femme fatale, bellissima, perfida, cinica e assassina.

Nel 1833, fu rappresentata per la prima volta "Lucrezia Borgia"tragedia di Victor Hugo,nella quale la protagonista incarna l'archetipo di malvagità femminile, divenendo, grazie al gusto delle tenebre di certo Romanticismo, avvelenatrice ed essere demoniaco. 

La tragedia di Hugo ispirò, poi, Felice Romani, librettista dell'omonimo melodramma di Gaetano Donizetti.

Sulla stessa scia si imposta il ritratto di Lucrezia fornito da Alexandre Dumas padre, nel primo volume della serie "Les crimes celebres ": "La sorella era degna compagna del fratello. Libertina per fantasia, empia per temperamento, ambiziosa per calcolo, Lucrezia bramava piaceri, adulazioni, onori, gemme, oro, stoffe fruscianti e palazzi sontuosi. Spagnola sotto i suoi capelli biondi, cortigiana sotto la sua aria candida, aveva il viso di una madonna di Raffaello e il cuore di una Messalina".

Anche lo storico francese Jules Michelet vide in Lucrezia il demone femminile insediato sul trono vaticano.

Altra accusa  riguarda l'uso di un veleno micidiale, chiamato cantarella, con il quale i Borgia avrebbero eliminato i nemici, versandolo nelle bevande o nei cibi.

Nella già citata tragedia, Hugo le fa dire: "Un veleno terribile, un veleno la cui sola idea fa impallidire ogni italiano che sa la storia degli ultimi vent'anni (...). Nessuno al mondo conosce un antidoto a questa composizione terribile, nessuno, ad eccezione del papa, del Signor Valentino e di me".

Chimici e tossicologi, però, si dichiarano convinti che gli effetti della cantarella siano del tutto leggendari.


Perché non sottrarre Lucrezia al racconto tradizionale e alla condanna morale, restituendole il giusto valore di donna determinata, partecipe e, a volte, anche vittima, delle vicende politiche del suo tempo?




Anche Cesare, il duca Valentino, è stato considerato spesso un miserabile avventuriero, privo di idee ed ideali, innalzato al potere dalle armi e dalla fortuna del padre.

Da Jerome Robins e Peter Arnold  in "Serial Killers. 100 Tales of Infamy, Barbarism and Horrible Crime"è considerato un serial killer che, nel corso della sua vita, manifestò una crudeltà gratuita,e non solo verso i suoi nemici politici, torturando, massacrando e uccidendo all'unico scopo di soddisfare la sua sete di sangue ed il suo bisogno di onnipotenza.

Sempre Robins e Arnold riferiscono che il giovane Borgia, violentasse selvaggiamente le ragazze dei villaggi e, a volte, le uccidesse, con comportamenti tipici di un moderno serial killer sessuale.

Riteniamo che, per definire serial killer un individuo, sia necessario studiare e valutare numerosi altri elementi.


Preferiamo, senza dubbio, il ritratto di Cesare fornitoci da Niccolò Machiavelli ne "Il Principe", proponendolo  come modello di nuovo capo di stato.

Secondo Machiavelli "Chi adunque iudica necessario nel suo principato nuovo assicurarsi de' nemici, guadagnarsi delli amici, vincere per forza o per fraude, farsi amare e temere da' populi, sequire e reverire da' soldati, spegnere quelli che ti possano o debbano offendere, innovare con nuovi modi gli ordini antiqui, essere severo e grato, magnanimo e liberale, spegnere la milizia infedele, creare della nuova, mantenere le amicizie de' re e de' principi in modo che ti abbino o a beneficare con grazia o a offendere con respetto, non può trovare e più freschi esempli che le azioni di costui".

Il principe ha, dunque, una missione: mantenere lo stato, prevenendo i nemici e garantendosi degli amici; deve farsi temere dai sudditi e rispettare dai soldati.

Egli obbedisce alla legge crudele della necessità, che può spingere al delitto per esigenza di difesa. Ma le crudeltà, se vi si è costretti, devono essere usate a buon fine:"Et etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizi sanza quali e' possa difficilmente salvare lo stato".

Il male, secondo Machiavelli, nasce dalla corruzione dei tempi e gli stati non si reggono con la bontà perché gli uomini non sono "naturalmente" buoni.
Il principe, pertanto, può incorrere in certi vizi, se questi gli valgono la salvezza dello stato.


Quali sono, allora, le radici della terribile fama dei Borgia?

Sicuramente alla strategia politica di Cesare, finalizzata all'unificazione e alla grandezza nazionale, non nel senso risorgimentale s'intende, ed alla posizione critica, rispetto alla Chiesa Romana, di anticattolici e anticlericali, che porterà alla demonizzazione di tutta la famiglia .


Ultima lancia spezzata a favore dei Borgia: furono grandi mecenati e sostennero i più grandi artisti del loro tempo.

Concepirono, quindi, il potere anche come forma di promozione delle arti.

Chapeau!


Piera Denaro
                                                                                                   






venerdì 26 dicembre 2014

PER NON DIMENTICARE GUANTANAMO



"La prigione di Guantanamo mina la nostra sicurezza nazionale, riducendo le nostre risorse, deteriorando i rapporti con i nostri alleati e incoraggiando gli estremisti violenti. Chiudere il carcere è una priorità nazionale".

Queste le parole del Presidente Barak Obama, dopo aver firmato la legge annuale sulla Difesa.

Non si è ancora voltata definitivamente una delle pagine più buie della storia americana: Guantanamo, la struttura carceraria, all'interno della base della Marina Militare USA a Cuba, aperta subito dopo l'11 Settembre e destinata alla detenzione di prigionieri, ritenuti collegati ad attività terroristiche.

A dispetto della Convenzione di Ginevra, della Convenzione ONU contro la tortura, della forte denuncia di violazione dei diritti umani da parte di Amnesty International ("sta condannando migliaia di persone nel mondo a una vita di sofferenza, tormento e disprezzo"), la prigione cubana ha rappresentato una realtà devastante per la dignità umana.


Nel carcere di Guantanamo, conosciuto come "The battle lab"(il laboratorio della guerra), i detenuti venivano sottoposti ad esperimenti assimilabili a tecniche di tortura, quelle utilizzate per "convincere" a confessare crimini, a volte neanche commessi.

Gli interrogatori non convenzionali e le armi improprie degli USA.




Bombardamento sensoriale

I detenuti, incatenati al pavimento, venivano chiusi in una stanza buia, fatta eccezione per lampi irregolari di luce stroboscopica. Aria condizionata a temperature bassissime, tanto da indurre ipotermia. Musiche dai ritmi martellanti ed ossessivi a tutto volume.

Le unità destinate alle operazioni psicologiche militari, PsyOP, avevano già iniziato a sperimentare gli effetti della musica ad altissimo volume sui nemici in Vietnam e nel 1989 sul dittatore panamense Manuel Noriega.

Anche i britannici avevano bombardato con"rumore bianco", una specie di fruscio continuo, i sospetti terroristi dell'IRA.


Waterboarding

Forma di tortura che simula l'annegamento.

Prevede l'immobilizzazione del detenuto e il versamento di acqua sul viso coperto da un panno


Meflochina

Farmaco contro la malaria che, in dosi elevate, produce effetti devastanti: istinto al suicidio, allucinazioni, ansia, depressione, attacchi di panico.
I detenuti, sotto l'effetto della meflochina, si prestavano più facilmente alla confessione.

Il campo di prigionia di Guantanamo è diventato incubo e orrore, durante lo sciopero della fame di alcuni detenuti.
Metodi ai limiti dell'umano furono utilizzati per garantire la sopravvivenza ai prigionieri e farli desistere dalla protesta.



Murphy Drip

Apparato inventato dal chirurgo americano John Benjamin Murphy e utilizzato per somministrare farmaci e combattere stati di disidratazione dell'organismo, prima che comparissero altri sistemi, come le fleboclisi.

A Guantanamo veniva utilizzato per alimentare forzatamente i detenuti per via rettale.




Sedia della tortura

Mani, gambe,polsi,spalle,testa legati stretti alla sedia. Durante l'alimentazione forzata veniva contemporaneamente somministrato un lassativo, con conseguenze immaginabili e umilianti, a cui si aggiungeva il fatto che al detenuto, una volta riportato in cella, non venivano forniti abiti puliti.

La velocità con cui il liquido veniva introdotto provocava atroci dolori, difficoltà respiratorie e vomito.



Ma non è questa la "cura dell'acqua" utilizzata ai tempi dell'Inquisizione Spagnola?






Sonde nasogastiche

Il pranzo dei detenuti veniva liquefatto e somministrato, oltre che per via rettale, anche attraverso le cavità nasali con tubi nasogastrici.

Ai detenuti, legati al letto per non opporre resistenza, venivano introdotti alle narici dei tubi, abbastanza larghi da far passare le sostanze nutritive.

Dolori inimmaginabili, acuiti dall'inserimento e dall'estrazione della sonda più volte al giorno.

Veniva usato anche un imbuto per indirizzare il liquido nei tubi, con una procedura in tutto simile al waterboarding.

Procedure mediche o tortura pianificata?

Alimentazione o tattica umiliante?

Terapia o la più spietata punizione?

Non dimentichiamo Guantanamo, creatura mostruosa della civilissima America.

domenica 16 novembre 2014

CONDANNATI A VITA

Supercarcere Fornelli - I raggi
Supercarcere Fornelli - I raggi

Tanti sono stati gli appelli, negli ultimi anni, a prendere coscienza di uno stato di fatto che lede i diritti fondamentali della persona: lo stato di emergenza e degrado degli Istituti di pena, dove si vìola sistematicamente l'articolo 27 della nostra Costituzione, che prevede per il carcere, non lo scopo punitivo, ma rieducativo dei detenuti.

In tale condizione, il carcere può fungere da struttura rieducativa? In buona sostanza, il carcere serve a qualcosa, oppure a nulla? 

Nel luglio 1975 viene approvata, in Italia, la legge che orienta le modalità dell'esecuzione della pena in funzione di premi e riconoscimenti nei confronti del detenuto, previo accertamento della sua partecipazione all'intervento rieducativo.

Sotto gli occhi di tutti, però, la metamorfosi della reclusione da punizione a rieducazione non si è verificata.
Possiamo, invece, dire che il carcere, così com'è, non rieduca, anzi forma, istruisce ed educa il criminale di domani?

Amicizie intrecciate all' interno dell'istituto, sovraffollamento, violenza gratuita, assenza di personale qualificato con preparazione ed esperienza.

Arianna Giunti, giornalista freelance per il gruppo L' Espresso, autrice dell' inchiesta "La cella liscia. Storie di ordinaria ingiustizia nelle carceri italiane", ha ricostruito aspetti del sistema carcerario italiano, fatto di violenze e soprusi, e, soprattutto, di una generale indifferenza per il fallimento della funzione rieducativa della pena.

In gergo si chiama "cella liscia", perché è completamente vuota, senza brande, senza sanitari,

Qui vengono confinati i detenuti "disubbidienti" o quelli colti da crisi isteriche o depressive.

Sebastiano, racconta la Giunti, ex detenuto a San Vittore per piccoli reati di droga, in carcere si disintossica e impara a fare il giardiniere. Dopo la scarcerazione, trova lavoro come pony express, ma viene colto da crisi di panico quando sente per strada le sirene delle volanti. Avrebbe dovuto iniziare un percorso terapeutico, ma non può sostenerlo economicamente. Così lo hanno licenziato.

Questa è solo una delle tante storie.

I detenuti italiani, allora, sono condannati a vita, condannati a non ritrovare una normalità. La recidiva è un rischio altissimo.

A decretare un ulteriore fallimento delle nostre politiche carcerarie, è una nuova e continua domanda di penalità.

Affermazioni di questo tenore si sentono da più parti: "...far provare loro un po' dello stesso dolore delle loro vittime...il carcere ridona equilibrio a situazioni cui la giustizia non pone rimedio con pene giuste e certe...".

Fortemente avvertita è questa esigenza di pena, si direbbe quasi retributiva e afflittiva.

Da che cosa può anche prendere origine? Dall'insicurezza sociale, dalla paura della diffusa criminalità?
Da qui si innesca un effetto a catena, che trascina all'ansia collettiva, all'antagonismo, all'intolleranza, alla violenza e ad un barbaro "dai all'untore".




                                                                                     

sabato 15 novembre 2014

ARRIVA LA SCIENZA SULLA SCENA DEL CRIMINE

Sabato 29 Novembre a Torino alle ore 21,00 presso Qubi, via Parma 75 evento-conferenza, organizzato dall' Associazione ECO in collaborazione con Banca Mediolanum, Instar Libri, Museo Cesare Lombroso, Associazione Nazionale Museo  Cinema, Gravità Zero.

L'evento "Arriva la scienza sulla scena del crimine" si propone di portare sulla scena del crimine la gente comune e spiegare come l’interazione fra diverse discipline scientifiche possa portare alla soluzione di un caso.

La conferenza, a scopo divulgativo, si avvarrà della presenza dei relatori:

Lara Maistrello, entomologa ricercatrice (Università di Modena e Reggio Emilia)
“Crime Solving Insects: quando sono gli insetti a parlare”


Walter Caputo, formatore e science writer (Gravità Zero)
“Come si verifica un’ipotesi in un caso poliziesco? Con la Statistica!!!”


Stella Brancato, criminologa (Associazione Psychetius)
“La scena del crimine tra investigazione e psicologia: due facce della stessa medaglia?”


Eloheh Mason, divulgatrice culturale nuovi media (Associazione Culturale Artsoup)
“La settima arte del noir”


Tutti i partecipanti potranno usufruire di uno sconto del 20% sull’acquisto dei libri Instar, di un biglietto di ingresso in omaggio per il Museo di antropologia criminale Cesare Lombroso e per il Museo di anatomia umana “Luigi Rolando”.

Ai primi 15 iscritti sarà omaggiato un biglietto per la visione di un film della rassegna Cineteca.

Il prezzo del biglietto di ingresso è di 5 euro e i posti disponibili sono 100.

Per partecipare all’evento, scrivere a ecoassociazione@gmail.com indicando come oggetto “Iscrizione Arriva la scienza sulla scena del crimine” e nel testo: nome, cognome, telefono, mail .


L’Associazione E.C.O. (Epistemologia Comunicazione Orientamento) si occupa di migliorare la qualità di vita delle persone invalide, attraverso la ricerca del lavoro e mediante l’attivazione di laboratori finalizzati al recupero o al mantenimento delle capacità fisiche ed intellettive.


Contatti

Associazione E.C.O. Via Biella 48 Torino
Telefono: 3288260495
Orario di apertura: 9,00-13,00/ 15,00-19,00



sabato 1 novembre 2014

OMICIDI DI STATO







L'uso della forza da parte dei servitori dello Stato non è strettamente regolamentato da leggi? 
Vi sono alcune "mele marce" o si tratta di un'educazione e un addestramento che disumanizza e considera pericolo sociale manifestanti, emarginati,carcerati, individui in difficoltà o semplici e inermi cittadini?

Stefano Cucchi, fermato il 15 Ottobre 2009 per possesso di circa 30 grammi di droga.
Dopo la convalida dell'arresto, viene affidato alla polizia penitenziaria e, poco tempo dopo,il medico del tribunale si accorge di ecchimosi sulle palpebre e contusioni.

Viene trasferito all'Ospedale Fatebenefratelli, dove sono riscontrate ulteriori lesioni.

Stefano è riportato in carcere, ma il giorno successivo, il 17 Ottobre, viene trasportato all'Ospedale Pertini "dove furono ignorate le sue richieste di farmaci e fu abbandonato e lasciato morire di fame e di sete" recita l'accusa.

Alla sbarra dodici persone fra medici, infermieri e agenti di custodia, accusati di abbandono, abuso d'ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni ed abuso di autorità.

In primo grado, vengono condannati solo i medici, in appello tutti assolti!

La formula di assoluzione adottata dal Tribunale è quella prevista dal secondo comma dell'art.530, che, in sostanza, corrisponde all'antica formula dell'assoluzione per "insufficienza di prove".
Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, dichiara"Come è morto mio fratello è scritto sulle foto".

Le foto di Stefano le abbiamo viste tutti, così come abbiamo visto quelle di Michele Ferulli, percosso, fino alla morte, durante una manovra di ammanettamento a terra.

E le foto di Federico Aldrovandi?


E che dire di Riccardo Magherini, finito a calci e pugni, dopo essere stato fermato dai carabinieri?


Che dire di Giuseppe Uva, Marcello Lonzi, Riccardo Rasman, Aldo Bianzino, Gabriele Sondri, Carlo Giuliani, Gabriele Bifolco? E del massacro della Diaz?


Vergognoso il comunicato del SAP (Sindacato Autonomo di Polizia).
"Tutti assolti, come è giusto che sia. In questo Paese bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze. Senza che siano altri, medici, infermieri o poliziotti in questo caso, ad essere puniti per colpe non proprie".


Parole che richiamano quelle del giudice istruttore, a proposito della sentenza di archiviazione del caso Piero Bruno, un ragazzo di 18 anni, trucidato dalle Forze dell'Ordine, durante una manifestazione a sostegno del popolo angolano, a Roma nel 1975: "se per la difesa dei superiori interessi dello Stato, congiuntamente alla difesa personale, si è costretti ad una reazione proporzionata all'offesa, si può compiangere la sorte di un cittadino la cui vita è stata stroncata nel fiore degli anni ma non si possono ignorare fondamentali principi di diritto. La colpa di una perdita umana è da ascrivere alla responsabilità di chi, insofferente della civile vita democratica, semina odio tra i cittadini".


Stefano, Michele, Riccardo, Giuseppe,Marcello,Aldo, Gabriele, Carlo.....potranno avere mai giustizia? Potranno avere dignità e rispetto, queste vittime di una brutalità istituzionale?


Tutti noi potremmo essere loro, vittime sacrificali di uno Stato miope, impotente, inerte, forse estinto.


Piera Denaro      




venerdì 24 ottobre 2014

IL MOSTRO IN CASA





Sono vicini a noi, accadono di continuo e stanno subendo un tragico e rapido incremento. Maturano all'interno di una piccola comunità, di piccoli nuclei sociali come coppie, famiglie, condomini: sono gli omicidi di prossimità.

Il giornalista e scrittore Luigi Bernardi nel suo "Il male stanco. Alcuni omicidi quotidiani e quello che ci dicono",affronta il problema, ricostruendo quattordici omicidi, tra i più conosciuti degli ultimi anni.
Storie di uomini che uccidono fidanzate e mogli, di madri che ammazzano i figli, di figli che si sbarazzano dei genitori, di piccole beghe condominiali che sfociano in crudele forza vendicativa, di cadaveri di scomparsi trovati, quasi sempre per caso, in angoli poco visibili, ma sempre vicini al luogo dove tutto ha avuto inizio.

Il male stanco. La stanca quotidianità del male.
Il male, dunque, ha perso la sua fermezza, la sua solidità?
La società è allo sbando? Ha smarrito i suoi punti fermi, i suoi modelli e valori di riferimento?


Fatuità, inconsistenza,incongruenza: per finire una storia d'amore o per cercare di mantenerla, per risolvere un litigio fra condomini o colleghi, individui, "apparentemente normali", si trasformano in feroci assassini.

Individui apparentemente normali, si diceva.

Anche i vicini di casa dei carnefici e delle vittime descrivono situazioni normali e ritengono l'accaduto imprevedibile e incomprensibile.

Perché è accaduto un determinato evento e cosa lo ha scatenato?

Il termine più utilizzato ed abusato è " raptus".
Anche gli studiosi della mente umana lo ritengono un termine senza senso psichiatrico, ma molto utile a chi fa le perizie, per giustificare azioni di grande violenza, attenuare la gravità del fatto e la colpa di chi le commette.




A questo punto, la parola allo scienziato, prima ancora che alla giustizia.

Malattia mentale? Malattia sociale?
La malattia mentale può trasformare uno stimato padre di famiglia in un feroce assassino?
Si, a quanto pare.

La malattia psichica annebbia il pensiero ed arma la mano, ma spesso non dà segni premonitori, segnali riconoscibili o comportamenti eccessivi.
Neanche la famiglia,i colleghi di lavoro, i vicini si accorgono dell'esistenza di una bomba ad orologeria.

Non fermiamoci, però, alla patologia mentale. Mettiamo anche in ballo la malattia sociale, o forse meglio, il crescente disagio sociale prodotto dalla caoticità dell'esistenza.
Ecco tornati alla stanchezza del quotidiano, al male stanco, al male banale, alla banalità del male.

Banale è anche che i corpi di persone da tempo scomparse, vengano ritrovati, fortuitamente, a due passi da casa, banale è pure che manchi sempre qualcosa: o l'assassino, o l'arma del delitto o il movente.

O esiste, forse, il delitto perfetto?
No, non esiste il delitto perfetto, ma esistono le indagini imperfette.

Oggi, con i mezzi di cui la scienza dispone, teoricamente, tutti i casi sono risolvibili.
Se non si arriva alla conclusione, diciamolo pure, qualcosa o qualcuno non ha funzionato.


Piera Denaro













venerdì 17 ottobre 2014

DONNE E VELENI

La donna serial killer non è una rarità.

L'universo dell'omicidio seriale non è, infatti, popolato solo da uomini assassini e donne vittime.
Le donne, omicide seriali, riescono a portare avanti per anni la catena di omicidi e, dal punto di vista investigativo, sono più difficili da individuare rispetto agli uomini.

La scelta delle armi, la selezione meticolosa delle vittime e l'organizzazione metodica dell'omicidio, che tende sempre a simulare una morte naturale, sono elementi che, combinati ad una forte resistenza culturale ad ammettere l'esistenza dell'omicidio seriale femminile, sono alla base del "numero oscuro" delle serial killers .

Sono molto rari i casi di strangolamento, percosse, uso di armi bianche; l'arma preferita è il veleno, mezzo che evita il contatto fisico, è discreto,non lascia traccia e, in molti casi, il decesso della vittima appare naturale.

Secondo lo studioso Michael Newton (The Enciclopedia of Serial Killer), il primo caso documentabile di omicidio seriale si riferirebbe ad una avvelenatrice, una certa Locusta o Lucusta, vissuta a Roma durante il primo secolo d.C.
Era una donna di origine gallica, molto popolare in città per la preparazione su commissione di sostanze velenose. A quanto pare, i suoi servizi furono pure richiesti da Agrippina, per uccidere il marito, l'imperatore Claudio, e da suo figlio Nerone.

Anche in età repubblicana, secondo quanto viene tramandato dagli Annali di Roma, sotto il consolato di Valerio Flacco e Marcello, si verificarono numerosi decessi improvvisi, diffusi in tutti gli strati sociali.

Pare che una schiava avesse denunciato alle autorità che autrici dei delitti fossero delle matrone, costituitesi in associazione segreta, al fine di preparare pozioni avvelenate destinate a persone indesiderate.

La storia incrocia la leggenda nel caso della contessa ungherese Erzsebet Bathory,che, nel 1611, venne condannata a morte per aver torturato e sgozzato 650 donne, allo scopo di farsi il bagno nel loro sangue, ritenendolo ricco di proprietà "anti age".

Nel secolo XVII, si moltiplicarono in tutta Europa i casi di veneficio e nel 1676, in Francia, venne giustiziata Marie de Brinvilliers, accusata di aver avvelenato moltissime persone, compresi amici e parenti.

Restiamo nel '600, secolo di oscuri misteri e delitti.

Gran parte delle notizie relative a Lucida Mansi, ci sono fornite dal folklore.
Si dice, a Lucca, che questa donna abbia ucciso, dal 1628 al 1649, un numero imprecisato di mariti e
amanti.
Giulia è descritta dalla leggenda come una donna di straordinaria bellezza e amante del lusso. Preferiva amanti giovanissimi, disposti a seguirla nei suoi frequenti viaggi, dai quali nessuno faceva più ritorno. La donna, dopo l'amplesso, li gettava in un "carnaio": si trattava di una botola posta sotto l'alcova, nel cui fondo erano posizionate lance acuminate. La bella Lucida morì forse di peste nel 1649. Sembra che i Lucchesi più superstiziosi,ne vedano aggirare il fantasma intorno alla villa di Segromigno, dove aveva abitato, e che oggi è monumento nazionale.


La nobile Olimpia Mancini, nata a Roma nel 1638, e prima amante di Luigi XIV, rimase coinvolta nello "Scandalo dei veleni" ( Parigi , decennio 1670- 1680). Da un'inchiesta risultò che una certa Marie Bosse aveva fornito veleni alle mogli di membri del Parlamento, le quali volevano sbarazzarsi dei rispettivi mariti.
Il luogotenente di polizia La Reynie scoprì che si aggiungevano all'avvelenamento altri crimini: uccisioni di bambini e profanazione delle ostie consacrate.
Il caso si concluse con galera e condanne a morte.

Storia, leggenda e folklore sono gli ingredienti dei casi di Giulia Tofana e Giovanna Bonanno, entrambe palermitane.

Giulia Tofana era una cortigiana molto attraente, intelligente e scaltra nel condurre gli affari, almeno la descrivono così i resoconti dell'epoca.
A lei si deve l'invenzione dell'acqua tofana, un veleno ideale, privo di odore, sapore e colore, ottenuto da una miscela di anidride arseniosa, limatura di piombo e antimonio.
L'acqua tofana veniva venduta in piccole fiaschette di vetro alle numerosi clienti che si rivolgevano all'affascinante Giulia, per eliminare mariti, amanti e parenti.
Poche gocce, versate ogni giorno nelle bevande o nei pasti, causavano la morte nel giro di quindici giorni e rappresentavano una soluzione ideale per quelle donne che non avevano altra via di fuga da matrimoni imposti.

Bisogna considerare che nel '600, in Italia e in Europa, le donne venivano costrette a sposarsi in giovanissima età, a 14 o 15 anni e spesso anche più giovani, con uomini molto più maturi; il sentimento amoroso non era ritenuto un requisito necessario. A questo va aggiunto che l'uomo era padrone di disporre della donna a suo piacimento e legittimato ad usarle violenza.

Non conosciamo la conclusione della vicenda di Giulia Tofana, perché ad un certo punto se ne perdono le tracce. Una delle ipotesi della sua scomparsa vuole che la donna sia morta per cause naturali nel 1651, un'altra versione la vede reclusa in un convento o addirittura rinchiusa in carcere e sottoposta a tortura.

Circa un secolo dopo, durante il regno del Viceré Caracciolo, è in azione, sempre a Palermo, Giovanna Bonanno, passata alla tradizione come la "vecchia di l'acitu".
Era una vecchia mendicante che viveva di espedienti, girovagando per il quartiere della Zisa. Era definita da tutti "magara" (strega).
Un giorno si accorse che l'aceto per pidocchi, miscela di aceto e arsenico,, aveva causato un grave malore ad una bambina che, per errore, ne aveva bevuto un sorso.
Giovanna capì che quella era l'occasione giusta per dare una svolta alla sua vita e iniziò a vendere questo "liquore straordinario" a mogli infelicemente sposate.

Dai documenti processuali studiati da Salvatore Salomone Marino, risulta che la Bonanno fosse sinceramente persuasa di offrire un servizio socialmente utile a ridare serenità a molte donne.

La carriera dell'avvelenatrice fu stroncata da un banale errore: aveva venduto l'aceto ad una donna che, per vendetta, la denunciò.

Il 13 aprile 1789, la Regia Corte Capitanale di Palermo emise la sentenza definitiva: condanna a morte mediante impiccagione.
Prima di essere condotta al patibolo, due pittori la ritrassero con in mano le ampolle contenenti il veleno ed esposero il dipinto al pubblico.
Piazza Vigliena, nel cuore della città,fu allestita una forca altissima, a dimostrare che, per un reato così grave, era necessaria una grande altezza per separare l'anima dal corpo.

Il corpo della "vecchia dell'aceto" è seppellito in un cimitero, ormai non più visibile,fuori Porta di Vicari e un busto che la raffigura è custodito nel Museo Etnografico Siciliano Giuseppe Pitrè.


   




Museo Pitrè


Porta di Vicari
Busto Giovanna Bonanno








          Piera Denaro


N.d.A. Non è stato volutamente dato a questo "pezzo" un taglio scientifico, ma si è voluto solo raccontare di casi in cui la realtà storica si intreccia alla leggenda. Tali storie, che fanno parte delle nostre tradizioni, rappresentano un patrimonio culturale individuale e collettivo.

mercoledì 15 ottobre 2014

Giù le mani da Caino

La pena di morte risponde a criteri moderni di giustizia o ad un emotivo desiderio di vendetta della società?


Fino al '700, nessuno avrebbe messo in discussione il diritto dello Stato ad infliggerla, anzi essa rappresentava, con la sua spettacolarizzazione, un pubblico ammonimento.

L'illuminista Cesare Beccaria, con la pubblicazione nel 1764 del pamphlet Dei delitti e delle pene, 
 stimolò la riflessione sul sistema penale vigente, argomentando che lo Stato, infliggendo la pena di morte ad un individuo,per punire un delitto, ne avrebbe commesso un altro:"Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio". E definisce la pena di morte: "una guerra della nazione contro un cittadino perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere".
Beccaria,dunque,la ritiene inaccettabile perché il bene della vita è indisponibile e, pertanto, deve essere sottratto  alla volontà del singolo e dello Stato.

Influenzati da pensatori come Beccaria,diversi stati italiani abolirono la pena di morte e l'Italia unita l'abolì, tranne che per crimini di guerra e regicidio, nel 1889. Fu poi reinserita con il Codice Rocco nel 1930, e abolita definitivamente nel 1948.

Importante capitolo della storia della pena di morte viene scritto il 18 dicembre 2007, quando l'ONU approva una risoluzione, su iniziativa italiana, per la moratoria universale della pena di morte, ovvero per una sospensione internazionale delle pene capitali.

In alcuni paesi, si assiste da qualche anno, anche in conseguenza dell'aumento del tasso di criminalità, ad un ritorno alle esecuzioni capitali. In California, in Texas e in altri stati USA si eseguono addirittura su minorati mentali e adolescenti, colpevoli di gravi crimini, ma essi stessi vittime di violenza esercitata da contesti domestici ed ambientali: famiglia, alcol, droga, miseria.

L' Organizzazione Non Governativa Nessuno tocchi Caino , lo scorso luglio a Roma, ha presentato il Rapporto 2014 sulla pena di morte. Dal rapporto risulta che la Cina detiene il primo posto per numero di esecuzioni capitali: 3000 sulle 4106 portate a termine in tutto il mondo. Seguono Iran e Iraq.

In Cina, oltre che per reati di terrorismo, in cui rientrano anche le forme di dissenso politico e religioso, che colpiscono spesso tibetani e uiguri, o per produzione e traffico di droga, si ricorre alla pena capitale anche per reati ordinari o per opposizione al potere.

I rilevatori denunciano condizioni di scarsa trasparenza degli USA nell'applicazione della pena .
Il rifiuto dell'UE a fornire prodotti chimici necessari per l'iniezione letale, ha causato difficoltà di approvvigionamento e conseguenti norme di segretezza sulle materie utilizzate.

Cosa è stato iniettato a Clayton Lockett, morto  fra indicibili sofferenze 43 minuti dopo l'inizio dell'esecuzione? E' successo in Oklahoma.


Anche in Italia la criminalità è in aumento e di fronte a casi di efferati delitti, certi settori dell'opinione pubblica si dichiarano favorevoli al ripristino della pena di morte, ritenuta efficace deterrente nei confronti del crimine, all'interno del nostro ordinamento giudiziario.

Le statistiche contraddicono i sostenitori di tale tesi, in quanto nei paesi in cui essa è applicata, persiste un altissimo tasso di criminalità. Che senso ha una condanna così disumana, se non produce risultati soddisfacenti?

Sandro Veronesi in Occhio per occhio, narra di un condannato, rimasto nel braccio della morte di una prigione della California per vent'anni. Pur essendo divenuto un individuo diverso da quello responsabile dei delitti imputatigli e totalmente inoffensivo per la società, viene mandato alla sedia elettrica, condannato innanzitutto dai mass media e dall'opinione pubblica.

A parte la possibilità dell'errore giudiziario, che con un'esecuzione capitale diverrebbe irreparabile, riteniamo che la giustizia debba dare ad ogni individuo possibilità di difesa, rieducazione e  reinserimento nella società e lo afferma l'articolo 27 della Costituzione Italiana: " Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

Ci pare opportuno sostenere che, al di là di ogni azione repressiva, sia necessario mettere in atto una seria ed efficace politica di prevenzione, mediante un processo di eliminazione di condizioni di degrado sociale che,  inevitabilmente,  alimentano violenza, devianza e delinquenza.
La bonifica dei ghetti di periferia delle metropoli, la lotta alla droga, alla corruzione, alla disoccupazione, che fornisce manovalanza al crimine organizzato, devono essere immediati interventi finalizzati al risanamento della nostra società malata.

Dovremmo trasmettere ,soprattutto ai giovani, valori, modelli ed esempi in cui credere.

E questo è un problema...


Piera Denaro


lunedì 6 ottobre 2014

CATTIVE MADRI: LA PEDOFILIA FEMMINILE

Se ne parla e se ne scrive poco, ma non significa che la pedofilia femminile non esista.

Già, circa 2000 anni fa, Petronio nel suo Satyricon narrava di un gruppo di donne compiaciute ed eccitate davanti allo stupro di una bambina di sette anni.

Nel pensiero comune, il pedofilo è maschio, ma anche le donne sono capaci di abusare di bambini e adolescenti.

“Pensare che una donna possa essere un’abusante sessuale è raccapricciante, è sconvolgente perché la donna è associata all’idea di mamma. Teoricamente una madre non potrebbe mai danneggiare un bambino” dice Loredana Petrone, psicoterapeuta e sessuologa, esperta in prevenzione delle moderne forme di violenza, autrice con Mario Troiano del libro “E se l’orco fosse lei? Strumenti per l’analisi, la valutazione e la prevenzione dell’abuso al femminile .

Negli ultimi anni, il Web ha contribuito a portare in evidenza la diffusione di tale fenomeno. In rete, infatti, sono sempre più numerosi le immagini e i filmati pedopornografici che coinvolgono donne e madri. Proliferano anche comunità virtuali che offrono consigli per ottenere materiale e raggiungere minori .

La pedofilia femminile, come quella maschile, può annidarsi all’interno delle mura domestiche o rivolgersi all’esterno, scegliendo mete lontane, come luoghi ideali per l’adescamento.

Quella intrafamiliare, la più difficile da identificare, si cela dietro espressioni alimentate da ambigui rapporti di amore e di ostilità. In numerosi casi l’abusante è la madre e le statistiche di Telefono Azzurro ce lo confermano, anzi negli ultimi anni, in Italia, è salita la percentuale di abusi sessuali commessi in famiglia da parte di donne.

La pedofilia femminile, in forma di turismo sessuale, compare intorno agli anni ’70, quando donne americane e canadesi, favorite dall’emancipazione economica e motivate dalla ricerca di soddisfazione sessuale e appagamento materno, iniziano a raggiungere spiagge lontane alla conquista di beach boys e beach girls.

Oggi, mete delle nordamericane e delle europee sono Caraibi, Tunisia, Marocco, Kenya, Giamaica e Brasile. La Thailandia è preferita dalle giapponesi, Marrakesh dalle scandinave e dalle olandesi.
Dalla testimonianza di medici, che hanno curato piccoli abusati, sappiamo che ai bambini maschi, per rendere possibile l’atto sessuale, vengono iniettati ormoni e droghe nei testicoli.

Diverse le cause scatenanti di un comportamento pedofilo da parte di una donna: separazione, abbandono, eventi traumatici non elaborati e quindi, irrisolti. Tra le conseguenze più importanti di un trauma non risolto, è l’impulso e l’ossessione a reiterare l’evento.

Loredana Petrone e Mario Troiano individuano sei tipologie di pedofilia femminile:


       Pedofilia latente- La donna nutre morbosa attrazione per i bambini; ha fantasie erotiche che non si concretizzano, grazie all’ostacolo morale di cui è in possesso.

      Pedofilia occasionale - La donna, pur non avendo gravi distorsioni psicologiche, in situazioni particolari, come viaggi in Paesi con un forte tasso di turismo sessuale, si lascia andare ad esperienze sessuali trasgressive. Si tratta, in genere, di donne di età compresa tra i 40 e 50 anni, con un livello socio-culturale medio-alto, single o divorziate.


  Pedofilia immatura-La donna non è riuscita a sviluppare normali rapporti con i coetanei , mancando di una sufficiente maturità emotiva ed affettiva. Rivolge, pertanto, le sue attenzioni verso il bambino, dal quale non si sente minacciata.

Pedofilia regressiva- La donna, avvertendo un senso di inadeguatezza a vivere il quotidiano, regredisce ad una fase infantile. Sentendosi bambina, rivolge interesse sessuale verso i bambini.

   Pedofilia sadico-aggressiva- La donna trae piacere nel provocare dolore o morte. Alla base di questo comportamento c’è un bagaglio di aggressività, frustrazione ed un senso di svalutazione di se stessa e degli altri.

   Pedofilia omosex- La donna rivolge alla bambina l’amore non ricevuto dalla madre. Identificandosi con la piccola vittima, colma con l’abuso il vuoto affettivo.


Bisogna puntare l’attenzione e far luce su un fenomeno così grave e complesso, al fine di predisporre strumenti di prevenzione e tutela dell’integrità psico-fisica dei minori.

                                                                                                                                                    

 Piera Denaro

martedì 23 settembre 2014

L'ISIS PARLA OCCIDENTALE

Sono migliaia i giovani che partono   da tutta Europa, affascinati dal "canto delle Sirene" dell'ISIS.        
Secondo l’Economist, sulla base di dati provenienti da diversi centri di studio, sono soprattutto uomini con meno di 40 anni, ma si registra anche la presenza di donne(circa 10-15 per cento) dell’Europa centrale e settentrionale.

Perché lasciare Londra, Bruxelles, Parigi o Berlino per raggiungere le insegne nere dell’ISIS?

Tentiamo una risposta .

Ci viene subito da pensare ad una frustrazione personale, ad una mancata integrazione nel tessuto sociale, alla necessità di trovare un proprio ruolo esistenziale.
L’Economist dice che, in alcuni casi, fra le motivazioni dei combattenti non risulterebbero né la povertà né l’emarginazione sociale. Questi giovani, appartenenendo  alla classe media, non conoscerebbero difficoltà  economiche. Neanche il fanatismo religioso rappresenterebbe una forte motivazione. Sempre secondo il giornale londinese, la spiegazione più plausibile riguarderebbe il desiderio di fuggire dalla noia di casa propria.

Viene da chiederci: quella noia che ha generato la diffusione di giochi estremi, come il balconing(salto nel vuoto dal balcone) o l’eyeballing(usare vodka o whisky come collirio) o il choking game (il gioco del soffocamento) o il ghost riding(saltare e ballare su un veicolo in movimento)o la necessità di strafarsi di droghe o “abbuffarsi” di bevande alcoliche e poi mettersi al volante per “sentire l’adrenalina a mille”?

Ma forse non esiste anche un problema valoriale? La democrazia occidentale ha saputo rispondere adeguatamente alle esigenze di spiritualità?

Probabilmente no, se in Europa ci si è volti costantemente a religioni e filosofie orientali o , nelle fasce socialmente ed economicamente più deboli, ad occultismo, satanismo, astrologia…
L’ISIS, radicale e guerriero, offre con i suoi valori, una risposta a quella esigenza di spiritualità che vuole riscattare l’esistenza dal nulla trionfante.

L’Occidente dovrà interrogarsi e ripensarsi.

L’ISIS converte e recluta i foreign fighters, soprattutto, attraverso potenti tecniche psicologiche manipolative di Internet. Utilizza i Social Network per la circolazione rapidissima di contenuti, per esempio video di esecuzioni, che provocano eccitamento, forti emozioni negative, come collera, ansia, indignazione negli individui più vulnerabili per età o marginalizzazione. L’orrore generato fa leva sui sentimenti di ingiustizia, esclusione, umiliazione avvertiti da alcuni per le proprie condizioni di vita. Proprio a questo punto, si avvia un processo di identificazione con la minoranza ribelle che si scaglia contro quella stessa società ,ritenuta causa di malessere.

Che dire, però, del reclutamento di individui privi di turbe psicologiche e socialmente integrati?

Tentiamo una possibile spiegazione.

Esiste un’arma potente: il terrore. I video diffusi in rete, oltre a provocare orrore, seminano terrore, generano insicurezza e senso di impotenza. Un giovane, avvertendo come minaccia le immagini di violenza e le promesse di attentati, avvia quel  meccanismo di difesa che è la regressione: torna emotivamente bambino, bisognoso di una figura forte dalla quale dipendere. Da qui alla conversione e all’identificazione con il carnefice , il passo è breve. Essere simile al nemico significa non essere più un nemico.

Gli Occidentali sono accolti con amore e calore, ma subito dopo questa love bombing inizia l’indottrinamento e la radicalizzazione ideologica che trasforma una recluta in un individuo violento.
Circolano in rete anche video-tutorial che insegnano ai piccoli come “decapitare” una bambola, esercizio propedeutico al taglio della testa dei nemici. Non dobbiamo meravigliarci, quindi, se su Twitter viene immortalato un bimbo di quattro anni che imbraccia un fucile. Non dobbiamo meravigliarci, anche perché la madre del piccolo è Khadijah Dare, originaria di Lewisham, al sud di Londra, che ha dichiarato, sempre su Twitter, di voler essere la prima donna a decapitare un Occidentale.

A proposito di donne.

L’ISIS cerca via Internet donne occidentali che dovrebbero compiere la rivoluzione senza armi, ma attraverso il matrimonio e la cura dei figli. In questo caso, la propaganda celebra le gioie della famiglia jihadista e l’onore di allevare i figli che diventeranno guerrieri. Se da una parte vengono cooptate “amorevoli mogli e mamme”, dall’altra si reclutano donne nella Brigata Al Khansaa (dal nome della poetessa cara a Maometto), agenti velate il cui compito sarebbe individuare le donne che trasgrediscono alle regole della religione islamica. Secondo alcune ricercatrici del King’s College, sarebbero almeno sette le britanniche che militano nella Brigata e tre occuperebbero una  posizione di comando.

Poniamoci alcune domande: L’ISIS è davvero frutto dello scontro fra due differenti culture, quella araba e del mondo islamico e quella occidentale? Pur tenendo in considerazione le dinamiche politiche locali, non ci troviamo forse di fronte ad un prodotto del globale? Le crocifissioni dei ladri a Raqqa, riprese con uno smartphone da un gruppo di ragazzini e documentate da Vice News, e le teste dei nemici infilzate sui cancelli dei giardini della stessa città non sono materiale per Twitter?
Questo è materiale caldo che fa parte di una cultura digitale globale. Dov’è la contrapposizione fra la ferocia araba e la tolleranza occidentale? Non sono stati i soldati americani ad avere esposto per primi su You Tube e vari Social Network  gli Irakeni o pezzi dei loro corpi come trofeo?
Risulta difficile una netta separazione fra Oriente e Occidente, se da entrambi vengono utilizzate le stesse tecnologie occidentali della comunicazione.
Che dire dei Rayban ostentati da alcuni guerriglieri o l’uso delle magliette Nike alla proclamazione dello Stato Islamico?

Pensare ad una battaglia fra Oriente e Occidente, ad uno scontro fra civiltà, a nostro avviso, è un errore, in quanto ci muoviamo all’interno di una cultura globale. Se uno scontro esiste, allora è quello fra due visioni estreme di integralismo, di esasperazione,. uno della religione e l’altro dell’individuo e della competitività.
                                                                                                             
Piera Denaro