domenica 31 maggio 2015

TEST DEL DNA: PROVA O INDIZIO?



"Gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, presentano natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'art.192 c.p.p., comma secondo".

Così interviene la Corte di Cassazione Penale con sentenza n. 48349 del 30 Giugno 2004, dichiarando il test del dna una prova sufficiente a condanna.

Piuttosto sbrigativo da un punto di vista scientifico e metodologico.

Un indizio,espresso in termini probabilistici,può sostituirsi ad una prova, ad una certezza, risolvendo oggi tutti i casi?

La tendenza mediatica è quella di far credere al grande pubblico che il test del dna sia equivalente ad una identificazione certa ed assoluta dell'autore di un delitto.

Esistono molte zone d'ombra tali da poter mettere in discussione sia l'attendibilità del test, sia quella del risultato.
Di questo parere è nel suo "Tra il certo e l'impossibile" Francesca Poggi, docente di Teoria Generale del Diritto e Diritto e Bioetica presso l'Università di Milano.

Per accertare se un individuo possa essere l'autore di un reato, si confronta il suo dna con quello rinvenuto sulla scena del crimine o sul corpo della vittima.
La comparazione riguarda solo alcune sezioni , dette "loci": sequenze che variano da individuo a individuo con una probabilità di corrispondenza casuale che si aggira attorno allo 0,0001%.

Confondere quella che è una bassissima probabilità di corrispondenza casuale con una prova di colpevolezza, è definito dalla Poggi "fallacia dell'accusatore"; in altri termini l'imputato potrebbe essere innocente, pur essendo la fonte del materiale genetico. Anche se il dna rinvenuto sulla scena del reato o sul corpo della vittima appartenesse all'imputato, ciò non implicherebbe la sua colpevolezza, potendo esserci altre spiegazioni al rinvenimento.

I periti tendono a negarlo, ma, secondo la Poggi le possibilità di falso positivo possono essere diverse: problemi tecnici come il malfunzionamento degli enzimi o delle apparecchiature impiegate, gli errori umani, le possibili contaminazioni, le erronee interpretazioni del genotipo (corredo genetico dell'individuo, cioè l'insieme dei geni contenuti nel dna e custodito nel nucleo delle cellule).

Il reperimento e la raccolta del materiale genetico è un'operazione molto delicata.

Da ricordare è la vicenda del "Fantasma di Heilbronn" in Germania.
Dal 1993 avviene una serie di omicidi sulla cui scena viene sempre ritrovato un dna femminile, ma nessuna donna verrà mai ritenuta autrice del reato.
Nel 2009 la svolta: i bastoncini di ovatta utilizzati per il prelievo del materiale organico erano stati contaminati da un'operaia addetta al confezionamento.

Il dna non è la fotografia di una situazione, ma è una traccia che presenta dei picchi(elettroferogramma) che va interpretata. Non sono poi secondarie quantità e qualità del materiale prelevato.

Al dna non è possibile attribuire, anche se questa è la tendenza, un valore assoluto, trascurando le altre tecniche di investigazione o i tradizionali strumenti di indagine che porterebbero ad una prova o ad una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti, utili a condannare il colpevole. La prova del dna dovrebbe essere ritenuta solo una conferma collaterale ad altre prove.

Non ci pare una procedura corretta individuare un indiziato in mezzo ad una moltitudine di persone, ma sarebbe corretto discriminare un soggetto fra vari indiziati per i quali si è già in possesso di altri indizi.


Per l'FBI il dna non è una prova certa al 100%. Dal "New York Times" si apprende che il Federal Bureau of Investigation, controllando una banca dati nazionale del dna, ha identificato circa 170 profili genetici contenenti errori. Fra questi, anche errori di scrittura o errate interpretazioni dei tecnici di laboratorio.
A causa dei risultati, la Polizia di Stato di New York ha cambiato parametri e trovato altri errori nel suo database.

A scoprire gli errori è stato l'Ufficio del Medico Legale di New York City che, incaricato di una supervisione statale, ha dimostrato che l'errore è sempre in agguato, anche quando le prove del dna in Tribunale appaiono infallibili e influenzano giudici e giurati popolari.



venerdì 29 maggio 2015

UN RISCHIO DEL VIRTUALE: IL CYBERBULLISMO



"Si è scelto di intervenire su questo tema nella prospettiva della tutela dei minori, colmando il vuoto legislativo e puntando sull'educazione e credo sia molto importante che questo provvedimento rappresenti anche un passo in avanti in linea con il più avanzato diritto europeo".

Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato, commenta così l'approvazione del ddl contro il cyberbullismo. Ora il provvedimento passerà all'esame della Camera.

Il disegno di legge prevede che, in poche ore, la vittima possa ottenere, da parte di chi gestisce i siti web, l'oscuramento dei dati che la riguardano.
I genitori o la vittima, se maggiorenne, potranno chiedere di rimuovere entro dodici ore il testo incriminato e il gestore dovrà dare conferma entro le quarantotto ore. Se ciò non dovesse avvenire, potrà intervenire il Garante della privacy.

Il Governo assicura l'istituzione di un tavolo tecnico di ministeri, associazioni e organizzazioni per mettere a punto un piano finalizzato alla prevenzione e alla repressione del fenomeno. Il MIUR  dovrà prevedere linee di orientamento per la formazione del personale scolastico e per l'adozione di misure di sostegno e rieducazione dei minori coinvolti.

Il termine cyberbullying fu coniato nel 2002 dall'educatore canadese Bill Belsey e indica tutti quegli atti di molestia e forme di prevaricazione volontaria e ripetuta nel tempo effettuati tramite mezzi elettronici come email, chat, blog, telefoni cellulari o qualsiasi altra forma di comunicazione riconducibile al web.

Lo studioso di Psicologia Sociale Smith ed i suoi collaboratori nel 2006 hanno suddiviso il fenomeno in 7 categorie:
  1. SMS: invio e ricezione di messaggi testuali offensivi e diffamanti
  2. MMS: invio e ricezione di foto e video recanti danno a terze persone
  3. CALLS: invio e ricezione di chiamate in cui l'aggressore intimidisce la vittima con minacce e insulti
  4. EMAIL:invio di email contenenti insulti, minacce, offese e diffamazione
  5. CHATROOMS: intimidazioni e offese in chat
  6. INSTANT MESSAGE: insulti ed offese tramite sistemi di comunicazione istantanea
  7. WEBSITES: rivelazione di informazioni personali o la divulgazione di immagini e video, compromettenti per la vittima, attraverso siti internet
Nancy Willard nel suo "Educator's Guide to Cyberbullying (2006) propone una tassonomia alternativa a quella di Smith, centrata su azioni e comportamenti perpetrati e non sugli strumenti utilizzati.

Le varie manifestazioni di cyberbullismo possono essere così classificate:
  1. Flaming: messaggi elettronici violenti e volgari mirati a suscitare discussioni online, solitamente lo scenario è Facebook.
  2. Harassment: molestie reiterate attraverso l'invio di messaggi offensivi.
  3. Cyberstalking: persecuzione messa in atto tramite l'invio continuo di messaggi minacciosi e intimidatori.
  4. Denigration: opera di denigrazione perpetuata con l'invio o la pubblicazione di pettegolezzi su una persona al fine di danneggiarne la reputazione e le amicizie.
  5. Impersonation: Sostituzione di persona. Violare l'account di qualcuno e inviare messaggi a nome della vittima per dare una cattiva immagine della stessa.
  6. Outing and trickery: rivelazioni e inganno.Riguarda la condivisione online di segreti o informazioni imbarazzanti su una persona, ma anche spingere con l'inganno qualcuno a rivelazioni per poi condividerle online.
  7. Exclusion: Escludere volutamente qualcuno da una "lista di amici".
Oltre al persecutore e alla vittima, nel cyberbullismo si può assistere alla partecipazione di "spettatori", detti bystanders che, osservando l'azione e non intervenendo a favore della vittima, ma condividendo video e foto sui social network, alimentano la pericolosità del fenomeno e danno origine ad un processo di vittimizzazione.

Chi subisce molestie può raggiungere un livello di intensa sofferenza.
Si riscontra nelle vittime l'insorgenza di depressione, ansia, disturbi psicosomatici, enuresi notturna, disturbi del sonno, abbassamento dell'autostima, paura, frustrazione, problemi scolastici e familiari.

Non sono pochi gli adolescenti che negli ultimi anni si sono tolti la vita per sfuggire a una persecuzione via internet.

Amanda Cumming non ce la fa più e si fa travolgere da un autobus.

Hannah Smith si impicca a 14 anni.

Amanda Todds a 15 anni si uccide dopo aver lasciato un video su You Tube, in cui denuncia di essere vittima di cyberbullismo.

Megan Taylor Meier si impicca nel bagno di casa. I bulli erano adulti vicini di casa.

Questi sono casi estremi, ma va detto che varie ricerche stimano che la percentuale di vittime si aggiri tra il 10% e il 30% dei ragazzi.intervistati.
Dalle stesse ricerche emerge un altro dato inquietante: il 20% dei ragazzi ammette di aver agito da cyberbullo.

Bisogna riflettere sulle ragioni per cui si diventa bullo o cyberbullo.

Alla base del fenomeno c'è quello che in ambiente psicologico viene definito "disimpegno morale", ovvero l'insieme di meccanismi mentali, socialmente appresi, che servono a liberare l'individuo da sentimenti di autocondanna.

Albert Bandura, psicologo canadese, sostiene che ognuno di noi possiede dei meccanismi di disimpegno morale che ci fanno agire contro la morale e le sue norme, senza autoaccusarci, anzi autogiustificandoci.


Anche se avviene nella realtà virtuale, il cyberbullismo può violare il Codice Civile, quello della Privacy e quello Penale ( D.Lgs 196 del 2003).
Può configurarsi come reato di ingiuria (art.594), offese all'onore e al decoro (art.524), illegittima raccolta di materiale o diffusione di immagini della vita privata altrui (art.615-bis).

Esiste una corresponsabilità tra scuola e famiglia

La scuola, se non adotta  subito misure preventive, potrà sempre essere imputata di una condotta omissiva e ritenuta civilmente responsabile per danni causati a terzi.
La famiglia, invece, oltre ad avere il dovere di educare, è da ritenere responsabile di atti compiuti dai propri figli per non aver ottemperato alla loro vigilanza.

Gli insegnanti,dovendo farsi carico, come sempre e sempre in solitudine,  del contrasto ai fenomeni che vedono protagonisti i nostri giovani , chiedono a gran voce il supporto di educatori professionisti e pedagogisti, di personalità di primo piano nell'individuazione di percorsi educativi e riabilitativi per i minori e punto di riferimento  per il corpo docente.

I docenti non vogliono più improvvisarsi esperti psicologi, psichiatri, sociologi, psicanalisti, fini conoscitori dell'età evolutiva e non intendono più colmare il vuoto affettivo, psicologico, educativo delle tante famiglie italiane che "parcheggiano" i figli a scuola...tanto ci pensa l'insegnante.


DIFFAMAZIONE E WEB




                                                                

I social network sono strumenti molto potenti che permettono ai fruitori di condividere emozioni, pensieri, opinioni. Si può considerarli, se ben utilizzati, espressione del principio costituzionale di libertà di pensiero e di diritto di critica. Un uso scorretto può avere gravi ripercussioni penali e civili.
                                                    
Tra i reati più comuni commessi attraverso i social network, compare quello di diffamazione, disciplinato dall’art. 595 del Codice Penale, lo stesso che disciplina la diffamazione “mezzo stampa”.

Quando si può parlare di reato di diffamazione?

Perché si configuri la diffamazione, è sufficiente che il soggetto, la cui reputazione venga lesa, sia individuabile da un numero, seppur limitato, di persone, indipendentemente dall’indicazione nominativa.
Chiarisce così la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza 16 Aprile 2014, n.16712.
La stessa Cassazione ribadisce che”il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico” ma la “consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza anche soltanto di due persone”.

·         Costituisce, pertanto, reato di diffamazione la pubblicazione di frasi offensive, battute pesanti, notizie riservate la cui divulgazione provochi pregiudizi, foto denigratorie o, comunque, la cui pubblicazione abbia ripercussioni, anche potenziali, sulla reputazione della persona ritratta.
·         Creare, ad esempio, su Facebook il gruppo “Quelli che odiano il proprio capo bastardo” oppure”Quelli a cui sta antipatica la bidella cretina”.
Le espressioni bastardo e cretina hanno una chiara carica offensiva.
·         Rivelare sulla propria o altrui bacheca che il collega di lavoro ha una relazione extraconiugale.
·         Inserire la foto della propria ex fidanzata nuda in atteggiamenti intimi.
Particolare attenzione merita il tema riguardante la pubblicazione di foto. La Cassazione, infatti, ha recentemente precisato che il consenso ad essere ritratti non comporta il consenso ad utilizzare la foto.

Esempi dell’uso illecito della “piazza virtuale”

Cuneo- Uno studente stizzito dai controlli antidroga dei Carabinieri presso diverse scuole del Comune, posta sul suo profilo Facebook offese e commenti poco lusinghieri all’indirizzo delle Forze dell’Ordine.
Il ragazzo, individuato e denunciato all’Autorità Giudiziaria, dovrà risponderne in Tribunale.
Teramo- Una docente si è ritrovata bersaglio di ingiurie ed offese a sfondo sessuale in un gruppo di discussione creato da tre giovanissime.
L’indagine, scattata immediatamente, viene delegata alla Polizia Postale.
Le ragazze sono state identificate e dovranno rispondere di diffamazione online.
Salerno- Un professore precario di 45 anni diffama il Preside dell’Istituto presso il quale aveva prestato servizio, attribuendogli comportamenti non conformi al ruolo di Dirigente Scolastico.
Il portale Skuola.net segnala che due ex allieve di un liceo, a distanza di un paio di anni dal diploma, si sono ritrovate al banco degli imputati, dopo essere state denunciate per insulti ad un professore.


La tendenza all’insulto è tipica di chi è affetto da sindrome ossessivo-compulsiva da tastiera.
Ma l’Italia non è forse il Paese in cui il cittadino comune è istruito alla rissa e alla prevaricazione?
Sufficiente è accendere la tv per assistere ad una formativa lezione di dialogo civile.


Le nuove generazioni stanno dimostrando di maneggiare strumenti, potenzialmente devastanti, senza le necessarie competenze. I genitori non avvertono la necessità di educare i figli ad una sana navigazione online? I ragazzi sono in grado di percepire la portata delle conseguenze delle loro interazioni sui social?

Non volendo momentaneamente richiamare i drammatici episodi di cyberbullismo (nel 2014 sono stati più di 300 i casi di prepotenze online consumate da minori su altri minori), è comprensibile come un mezzo di comunicazione così potente non possa essere affidato a chi non ha ricevuto una corretta educazione, e non solo digitale.

Le pene previste in Italia

La giurisprudenza ha provveduto a rimediare al fenomeno con le massime punizioni.
Reclusione fino ad 1 anno e multa fino a E 1032,00. Se la diffamazione è aggravata, e ciò accade nel caso in cui l’offesa all’altrui reputazione sia arrecata a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, il reato viene giudicato innanzi al Tribunale e non davanti al Giudice di Pace. Pena prevista in caso di condanna è la reclusione da 6 mesi a 3 anni o pena pecuniaria non inferiore a E 516,00 e fedina penale macchiata per 5 anni.
Anche i minori possono essere processati in sede penale dal Tribunale per i minorenni e le conseguenze dell’azione illecita, in termini risarcitori, ricadrebbero sui genitori esercenti la potestà genitoriale.


Precauzioni per l’uso

Ai ragazzi: imparate ad essere educati e rispettosi sul web e ovunque.
Sul web tutto resta, per sempre, anche dopo molti anni potrebbero chiedervi conto in sede legale, civile e penale, di quello che avete scritto e postato anche dieci anni fa.
Ai genitori: per quella che voi ritenete una “ragazzata” commessa dalla vostra innocente prole, in caso di condanna, vi trovereste anche a pagare il legale di parte civile, il vostro personale legale e il risarcimento del danno provocato alla parte lesa.

Le pene previste in Europa

Francia: la diffamazione a mezzo stampa è regolata dalla legge del 29 Luglio 1881, più volte modificata.
L’art. 29 della legge definisce la diffamazione come l’affermazione o l’attribuzione di un fatto che lede l’onore o la considerazione della persona cui il fatto è attribuito. La diffamazione può essere un delitto se è pubblica, o una contravvenzione, se riguarda una persona fisica e non ha carattere pubblico.
Se la diffamazione ha carattere pubblico, le pene possono essere molto aspre ed anche di natura detentiva. Se la persona offesa appartiene a categorie quali persone fisiche o gruppi di persone che svolgono funzione pubblica, compresi i membri del Governo, i parlamentari, i corpi militari, le corti e i  tribunali l’ammenda prevista è di E 45000. Se la persona offesa non appartiene alle categorie citate, la pena consiste in un’ammenda di E 12000. Sono, inoltre, previste delle aggravanti se la diffamazione è rivolta verso una persona o un gruppo di persone in ragione della loro origine, etnia, razza, religione, sesso, orientamento o identità sessuale e handicap. In questi casi la pena prevede 1 anno di reclusione ed E 45000 di ammenda. Sono, comunque, previste pene alternative.
Germania: più severo è il sistema in Germania. Lo Strafgesetzbuch, il Codice Penale, distingue tre fattispecie di diffamazione:
 1) Quella per cui ”chiunque, riferendosi ad un’altra persona, afferma o divulga un fatto idoneo a denigrarla o svalutarla di fronte all’opinione pubblica”, in questo caso il responsabile “è punito con la pena detentiva fino ad 1 anno o con una pena pecuniaria, e, se l’offesa è commessa pubblicamente, l’agente è punito con  pena detentiva non superiore a 2 anni o con pena pecuniaria”.
2)La diffamazione intenzionale, per cui chiunque, riferendosi ad altra persona, afferma o divulga “in malafede un fatto non vero idoneo a denigrarla o a svalutarla di fronte all’opinione pubblica o a mettere in pericolo la sua reputazione” è punito con la pena detentiva non superiore a 2 anni o alla pena pecuniaria e, se l’azione è commessa pubblicamente, l’agente è punito con la pena detentiva non superiore a 5 anni o con pena pecuniaria.
3)Caso della diffamazione contro persone partecipanti alla vita pubblica: “Se pubblicamente, in una riunione o tramite la diffusione di scritto, viene diffamata una persona impegnata nella vita politica del popolo, per scopi connessi alla posizione dell’offeso nella vita pubblica, e l’azione è idonea a pregiudicare in maniera rilevante l’agire pubblico, è prevista la pena detentiva da 3 mesi a 5 anni”.


Spagna: la diffamazione a mezzo stampa è inserita tra i “reati contro l’onore” ed estende al web le norme relative alla stampa. I reati che si imputano con maggiore frequenza alla stampa sono la calunnia e l’ingiuria, entrambe riconducibili alla diffamazione. Quando ciò avviene pubblicamente, il codice prevede una pena detentiva compresa fra i 6 mesi e i 2 anni, oppure, in alternativa, una sanzione pecuniaria .

Gran Bretagna

Nel sistema giuridico inglese la cosiddetta “law of defamation” costituisce illecito civile (tort) e produce un’azione di risarcimento. Le sanzioni sono, infatti, legate alla riparazione economica dell’offesa.
La diffamazione a mezzo stampa è stata depenalizzata nel 2009 e la normativa inglese non contempla un’esplicita definizione di diffamazione, ma fa capo alla circostanza che una dichiarazione pubblica o esplicitata possa incidere negativamente sulla reputazione e l’onore di una persona identificabile fra i membri di una determinata società di individui.

Come difendersi
Se qualcuno su Facebook pubblica un commento offensivo, creando solitamente un “fake”, un falso profilo, solo per ingiuriare o rubare l’identità, o scrive un post diffamatorio, è possibile agire con un’azione di carattere penale e una di carattere civile.
·         Bisogna informare Facebook, segnalando l’autore dell’abuso tramite email a abuse@facebook.com
·         Segnalare a Facebook, attraverso la stessa piattaforma, il soggetto “incriminato”. A tal fine, sarà sufficiente andare sul profilo Facebook di quest’ultimo, cliccare sulla freccetta verso il basso posta in corrispondenza del bottone” messaggi” e selezionare “segnala/blocca”. Da qui bisogna spuntare la voce “invia una segnalazione”.
·         Sporgere querela presso una Stazione dei Carabinieri, o presso la Polizia Postale o presso la Procura della Repubblica del Tribunale del luogo di residenza.
·         Bisogna essere precisi: indicare la frase offensiva e l’autore; gli estremi del profilo dal quale è avvenuta la pubblicazione; il codice ID di quest’ultimo, la data, l’indicazione di eventuali testimoni che hanno letto la frase.
·         Consegnare una stampa della pagina incriminata.
Questo per quanto riguarda le prove del fatto illecito.
Per l’eventuale danno, è necessario fornire dimostrazione sia del danno patrimoniale (nel caso di un’azienda diffamata, è necessario fornire contestazione di clienti o revoche di contratti) e del danno morale (eventuali certificati medici comprovanti un turbamento psichico).
Le indagini

L’autore del reato probabilmente avrà utilizzato un falso profilo, ma la Polizia Postale e i periti sono in grado di risalire all’effettivo nominativo.
Gli inquirenti chiederanno a Facebook di avere accesso ai server sui quali la pagina è stata creata, per risalire all’indirizzo IP dell’autore dell’illecito.
Sebbene Facebook abbia la sua sede legale in California dispone di uffici in Europa. La sede legale europea si trova in Irlanda: Facebook Ireland Limited, Hanover Reach, 5-7 Hanover Quay, Dublin 2, Ireland.
Anche in Italia vi sono referenti legali che mantengono i contatti con i magistrati e le Forze dell’Ordine del nostro Paese.
L’azione penale andrà avanti fino all’applicazione della pena, tuttavia sarà bene che la vittima chieda consiglio ad un avvocato per verificare la possibilità di costituirsi parte civile e ottenere il risarcimento del danno o intraprendere un autonomo giudizio civile.

Con estrema leggerezza i social network sono utilizzati da giovani e adulti. La falsa convinzione che l’ambiente virtuale sia un mondo alternativo di una manciata di “amici” non fornisce la percezione del limite fra quello che è legale e ciò che non lo è.

Un comportamento antigiuridico rimane tale , anche se compiuto nell’ingannevole anonimato della rete.


giovedì 7 maggio 2015

Lo strano caso del "cacciatore di anoressiche"


La storia di Marco Mariolini giacerebbe forse nel dimenticatoio se nel 2004 non fosse uscito nelle sale cinematografiche il film "Primo Amore" diretto da Matteo Garrone.
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Il film si ispira al dossier autobiografico di Marco Mariolini "Il cacciatore di anoressiche" in cui l'autore ripercorre le tappe della sua discesa agli Inferi.

Mariolini, 39 anni, antiquario di Pisogne, in provincia di Brescia, è ossessionato fin dall'adolescenza dalle donne scheletriche, dalla fantasia di possedere corpi emaciati.

"Riesco a immaginare una donna a cui vedo tutte le arterie, non solo le vene, con la pelle trasparente"; "Me la immagino con la spina dorsale che le si veda dalla pancia"; "Ossa, tendini e vene sono la perfezione, ricoperti da uno strato di grasso che li insudicia".

Così Mariolini racconta il suo dramma, la perversione che lo porta a cercare una partner che si potesse smaterializzare.

Mariolini vive un'infanzia difficile: la madre ha un carattere maniaco-ossessivo che si manifesta in particolare nelle pulizie domestiche, il padre è remissivo e debole, sottomesso alla volontà della madre.

Segna la sua psiche un trauma infantile: colto da una crisi di pianto incontrollabile, la madre lo afferra per una gamba e lo fa penzolare fuori dal balcone, minacciando di buttarlo di sotto se non avesse smesso di piangere.

Già alle elementari, Mariolini inizia a mostrare i primi segni di morbosità per i corpi filiformi.Si masturba per la prima volta pensando al corpo di un compagno anoressico.

A diciannove anni, pieno di rabbia e frustrazione, non ha ancora avuto contatti sessuali con donne, perché la sua fissazione gli impedisce di cercare dei rapporti sessuali normali.
Poi il breve matrimonio con Lucia, che al momento della separazione pesa 33 Kg, a causa della perversione del marito.

Mariolini non riesce a vivere senza una donna scheletrica al suo fianco e attraverso annunci, conosce Monica Calò, una studentessa di Domodossola, con la quale convrà per alcuni mesi.

Un rapporto malato, un amore tormentato.Per Il cacciatore di anoressiche, doveva essere magrissima affinché nell'abbracciarla potesse sentirne lo scheletro.

Le vieta di alimentarsi fino alla somministrazione di cibi liquidi, farmaci che provocano vomito e diarrea e pugni sullo stomaco per indurre il vomito.

Esasperata dai digiuni e dalla violenza, Monica reagisce, colpendolo nel sonno a colpi di martello.Accusata di tentato omicidio, la ragazza trascorre un anno agli arresti domiciliari.

Durante il periodo di separazione, Mariolini scrive il suo romanzo, la cui protagonista è Monica, sotto lo pseudonimo di Barbara. In una pagina, egli si dice pronto ad uccidere la donna o chiunque gli avesse impedito di riaverla.

Il tragico epilogo

Dopo preghiere e telefonate minacciose, Monica accetta di rivederlo ma al suo rifiuto di ricominciare la relazione, viene uccisa da ventidue coltellate, inferte anche quando è già morta. All'ultimo colpo il pugnale penetra nel cuore e vi rimane conficcato.
Classico esempio di overkilling: la vittima non viene concepita dall'assassino come persona ma come oggetto che deve essere posseduto.

Era il 14 Luglio 1998.

Il 30 Marzo 2000 l'assassino viene giudicato capace di intendere e volere, quindi sano di mente, e viene condannato a 30 anni reclusione.

Una morte annunciata

Mariolini, un anno prima del delitto presenta il suo libro a Milano e durate una conferenza stampa dichiara:"Sono un potenziale mostro ed è necessario che qualcuno mi fermi prima che involontariamente io ammazzi qualcuna".

Emblematica fu poi la dedica che inviò a Monica"Con odio e con amore".

Nel libro, veramente cronaca di una morte annunciata, si legge "Volevo il controllo totale su Barbara, come se fosse stata una parte di me, una mia protesi.L'avrei portata a morte per denutrizione, non importandomi più niente compresa la mia stessa vita. Lei mi dava quell'illusione di completezza, sia nel corpo che nella mente, tanto mi sentivo fuso con lei e nello stesso tempo regista onnipotente della situazione.

Mariolini si era autodenunciato in anteprima ma perché non è stato fermato? Perché non è stata subito accertata l'eventuale pericolosità?

Il cacciatore di anoressiche mostrava tutti gli elementi tipici del serial killer: fantasie sessuali legate al dominio, capacità di manipolare il prossimo, bisogno di controllo e di vendetta, incapacità, propria dello psicopatico,di esprimere sentimenti autentici.

Sempre nella farneticante autobiografia racconta di Lucia, corteggiata da un altro uomo e delle sue fantasie di omicidio:"L'unico scopo era eliminare l'avversario...dopo averlo ucciso lo avrei castrato, avrei tritato il suo membro e i suoi testicoli, volevo farne un ragù per poi darlo in pasto a Lucia".

Mariolini si rende conto della sua patologia e questo stride con la personalità del serial killer.

Dichiara di aver cercato aiuto presso psichiatri e terapeuti: "Nessuno è stato in grado di aiutarmi. E' ora che si faccia qualcosa...ho tanta paura di perdere la testa del tutto prima o poi e di poter diventare un vero mostro, un assassino assetato di sangue o anche solo violentatore di povere anoressiche come già in passato ho rischiato trattenendomi per un pelo".

Prima dell'omicidio effettivo, Mariolini racconta di aver tentato di violentare altre anoressiche e di aver fantasticato di ucciderne altre: Studiavo piani su piani per riuscire a sorprenderla senza che nessuno mi vedesse e trascinarla in barca...l'avrei affogata. Un paio di giorni avrebbero senz'altro funzionato e per la verità due o tre occasioni per attuari le avrei avute, ma non fui mai sufficientemente convinto e deciso a farlo".

I giornali recepirono e lanciarono l'allarme, i carabinieri avvertirono la Procura di Brescia che non mosse un dito. Particolare inquietante: la vittima aveva denunciato più volte alla polizia di aver ricevuto minacce di morte senza che nessuno facesse niente per impedire quello che poi è avvenuto.

Mariolini, intervistato da Franca Leosini per "Storie maledette", confessa di non essere cambiato e che in caso di libertà tornerebbe a compiere gli stessi atti. 

Si presenta all'intervista con barba e capelli su un solo lato del viso, proponendosi come icona dell'uomo, della sua ambivalenza, del mostro che vive in ognuno di noi, che si realizzi o no.

Una morte annunciata, un altro incredibile caso all'italiana.




venerdì 1 maggio 2015

Lo stupro è stupro


                          Un problema sociale poco discusso: la violenza sessuale sugli uomini

I dati relativi alla violenza sessuale sugli uomini sono sorprendenti.

Da una recente ricerca condotta in Italia, il 58% degli oltre mille uomini intervistati, risulta subire violenze fisiche dalla propria partner e l'8,6% dichiara di essere stato costretto, attraverso l'utilizzo della forza e delle minacce, a rapporti sadomaso o durante il periodo mestruale. Il 4,1% dei soggetti intervistati è stato forzato a sesso di gruppo e scambi di coppia.

Può un uomo subire violenza sessuale da una donna? 

La convinzione che sia impossibile per i maschi rispondere sessualmente, quando sottoposti a molestie sessuali da parte di una donna, è errata.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Archives of Sexual Behavior "L'erezione può verificarsi in una varietà di stati emotivi, tra cui rabbia e terrore".

Una conferma arriva dal Journal of Clinical Forensic Medicine: la stimolazione sessuale non richiesta o non consensuale può portare ad eccitazione indesiderata e al raggiungimento dell'orgasmo.
Oltre alla stimolazione non consensuale, è pure possibile usare l'arma della minaccia o della ritorsione per costringere un uomo ad un rapporto sessuale, o approfittare di una stato di incoscienza per consumare uno stupro.

Tre sono le strategie aggressive  finalizzate ad un'interazione sessuale non consensuale: forza fisica, sfruttamento dell'uomo in stato di incapacità e pressione verbale, come tre sono le forme di contatto sessuale indesiderato: baciare/petting, rapporto sessuale e sesso orale.

Dove sono le campagne contro la violenza sessuale sugli uomini?
Dove sono i centri antiviolenza per vittime maschili?

Per l'uomo non c'è una sollecitazione istituzionale a denunciare la violenza subita, nessun centro di accoglienza, nessun numero verde, nessuno sportello di ascolto pubblico o privato.
Non esiste neanche un sistema legale preparato a prevenire e reprimere un simile crimine. Si aggiunga a tutto ciò la bassa propensione denunciatoria da parte delle vittime che si scontrano con gli atteggiamenti di sufficienza, sottovalutazione e spesso di derisione da parte di chi dovrebbe contrastare il fenomeno.

Secondo la psicoterapeuta Elizabeth Donovan :"Gli uomini hanno il peso aggiuntivo di dover affrontare una società che non crede che lo stupro possa succedere anche a loro".

C'è anche un altro problema: la paura di vedere intaccata la propria mascolinità, il sentirsi meno uomini.

L'estrema difficoltà di riconoscersi vittima porta ad un sommerso, ad un numero oscuro di vittime maschili superiore a quello femminile.

Pare che nel Regno Unito si stia iniziando a prendere coscienza del problema: sono stati stanziati 500mila sterline a sostegno degli uomini vittime di violenza sessuale ed è stata lanciata la campagna governativa #breakthesilence, mirata a facilitare la denuncia.

Non sono rari i casi di uomini forzati a rapporti sessuali penetrativi nelle prigioni, nei conflitti armati, nell'esercito americano.

Recente l'episodio del carcere di Modica dove alcuni agenti avrebbero abusato dei detenuti, minacciandoli di nascondere droga in cella.

Secondo i dati 2008/2009 del Dipartimento di Giustizia Statunitense, negli istituti correzionali giovanili, il 95% dei giovani ha dichiarato di essere stato vittimizzato da personale femminile.

Casi documentati arrivano, durante i conflitti armati, dall'Afghanistan, Iran, Congo.
Il 21% dei maschi Tamil dello Sri Lanka ha raccontato di aver subito abusi sessuali durante la guerra.
Uno studio sul conflitto balcanico riporta che circa 4800 uomini siano stati stuprati durante un in ternamento in un campo di prigionia.
Lo stupro è, in questo caso, un'arma silenziosa per stabilire una posizione dominante ed evirare il nemico.

Nathaniel Penn, in un articolo sul mensile americano GQ, ha raccontato il tema poco conosciuto e discusso delle violenze sessuali sui soldati maschi all'interno dell'esercito americano.

Il trauma sviluppato è particolarmente doloroso,dato che la violenza è commessa da qualcuno in cui si deve poter riporre la più totale fiducia.
Molti soldati sono diventati alcolisti, altri sono ormai incapaci di ogni legame affettivo e sessuale.
Un numero non indifferente fatica a trovare lavoro, perché nessuno vuole assumere un ex militare schizofrenico.
Per insabbiare gli abusi, infatti, l'esercito congeda frequentemente i soldati abusati, diagnosticando falsi disturbi della personalità.

MST (Military Sexual Trauma) è l'acronimo utilizzato dal Dipartimento dei Veterani per indicare gli stupri o le molestie sessuali subiti durante il servizio.

Secondo alcune ricerche, il tasso di soldati che sviluppano un disturbo da stress post traumatico in seguito ad abusi sessuali risulta doppio rispetto a quello sviluppato per traumi legati al combattimento.

Altro problema riguarda l'inadeguatezza delle strutture. Come racconta Penn, i centri sono carenti e impreparati al supporto del genere maschile, tanto che ad alcuni soldati è stata negata l'assistenza.

Nello studio di Nathaniel Penn sono riportate anche dolorose dichiarazioni di soldati:

"Quando un sergente di artiglieria ti dice di toglierti i vestiti, è meglio che te li togli. Non fai domande". ( Marine)

"Non avevo paura di denunciarlo. Mi vergognavo ed ero disgustato.I maschi non vengono violentati. Non volevo dirlo a nessuno. Non volevo dir niente".(Marine)

"Uno dei medici mi disse poi - Figliolo, gli uomini non vengono violentati- " .(Marine)

"Ancora oggi continuo a tagliarmi le braccia, le gambe, lo stomaco, con un coltello da caccia o la lama di un rasoio. Mi dà un senso di controllo, di endorfine, di sollievo. Gli incubi tornano di continuo. Sono così realistici che posso sentire il manico di scopa salire dentro di me".(Esercito)

"Mi hanno mandato via diverse volte. C'è una specie di muro che dice- non può essere successo a te, tu sei un uomo- ".(Aeronautica)

"Stavo iniziando ad avere delle allucinazioni di gente che veniva a prendermi. Mi barricai nella mia stanza in caserma perché avevo sentito una chiave nel lucchetto e avevo pensato che stavano per entrare. Era il mio compagno di stanza ma io stavo urlando- non fatemi male! -. Mi portarono in ospedale e alla fine lì raccontai allo psichiatra cos'era successo. Fu un grave errore. Venni messo in un reparto psichiatrico simile a quello di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Il dottore disse- Ti è piaciuto, vero? Dai dimmi la verità- " .(Marine)